La spinta rivoluzionaria investe Torino

Le rivoluzioni di Spagna e di Napoli estesero i sentimenti di rivalsa fra i liberali delle Romagne, dei Ducati (Parma e Modena), della Lombardia austriaca, del Piemonte. In Lombardia nacquero accordi importanti tra la sinistra idealizzata da Filippo Buonarroti (i Sublimi Maestri Perfetti, che controllavano gli Adelfi) e i Federati, guidati dal conte Federico Confalonieri. Si ricercarono intese anche con i Federati piemontesi, che si raccoglievano intorno al conte Santorre di Santa Rosa (Savigliano, 18 novembre 1783 – Sfacteria, 8 maggio 1825; patriota e rivoluzionario italiano) e al conte Cesare Balbo (Torino, 21 novembre 1789 – Torino, 3 giugno 1853; politico e scrittore italiano, Presidente del Consiglio del Regno di Sardegna): i progetti che stavano prendendo vita miravano all’insurrezione di tutta l’Italia. Il Santa Rosa sperava che i Savoia avrebbero finito per associarsi alla guerra di liberazione della Lombardia, conformemente alla loro antica aspirazione di un’espansione territoriale al di là del Ticino.

Il moto liberale scoppiò il 10 marzo 1821 ad Alessandria, con l’ammutinamento del presidio militare cui seguì la formazione di una giunta propriamente democratica. A Genova si insediò un governo provvisorio appoggiato dalla Carboneria. Il 12 marzo l’insurrezione si estese fino a raggiungere Torino, dove i patrioti reclamarono dal re la Costituzione spagnola del 1812. Vittorio Emanuele rifiutò però di recitare la parte del sovrano costituzionale, come aveva già fatto a Napoli Ferdinando di Borbone, e preferì per questo abdicare in favore del fratello Carlo Felice. Il caso volle che quest’ultimo, in quei giorni, si trovasse lontano da Torino perché ospite di Francesco IV di Modena; la reggenza finì per cui nelle mani del principe Carlo Alberto di Savoia-Carignano, che da tempo intratteneva contatti con i liberali.

Carlo Alberto, impressionato dalle dimostrazioni popolari e travolto dagli avvenimenti, concesse la Costituzione spagnola. Si rafforzarono così le le speranze dei liberali piemontesi di portare dalla loro parte i Savoia, mentre si moltiplicavano gli appelli dei patrioti lombardi invocanti l’intervento dei fratelli piemontesi. Questa si rivelò una vana illusione. Da Modena Carlo Felice sconfessò energicamente l’operato del nipote, ingiungendogli di presentarsi a Novara al generale Sallier de La Tour (Chambéry, 18 novembre 1774 – Torino, 19 gennaio 1858; militare e politico italiano), pena la perdita di ogni diritto alla successione. Stretto tra due fuochi, dunque, Carlo Alberto simulò di voler resistere alle imposizioni dello zio e affidò a Santa Rosa il ministero della Guerra in vista del conflitto con l’Austria; lasciò però nottetempo Torino consegnandosi a de La Tour secondo gli ordini ricevuti. Scoperta la fuga del reggente, la giunta rivoluzionaria volle tentare lo stesso la sorte delle armi, ma l’esercito si disfaceva per le diserzioni e la popolazione rimaneva passiva.

I reparti del Piemonte costituzionalista furono presto dispersi dagli Austriaci (8 aprile 1821), che poterono così occupare Genova, Alessandria e infine Torino.

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