La Restaurazione in Italia: il Regno di Napoli e di Sicilia

Ferdinando di Borbone (1751-1825), tornato sul trono del Regno di Napoli, dapprima sembrò voler adottare una politica basata sulla pura repressione, affidando il ministero al principe di Canosa, espressione del più intransigente spirito reazionario; tuttavia, le trasformazioni operate durante il decennio francese erano ormai irreversibili, come ben comprese Luigi de’ Medici, erede dell’assolutismo illuminato, che tentò di riprendere in qualche modo la linea delle riforme settecentesche, sia pure nel quadro del legittimismo borbonico. D’altronde il Metternich (diplomatico e politico austriaco, dal 1821 al 18148 cancelliere di Stato), in accordo con il governo inglese, nel timore che si ripetessero nel regno i furibondi eccessi seguiti al crollo della repubblica napoletana, imbrigliò i propositi del re, imponendogli con la Convenzione di Casalanza, del maggio 1815, di mantenere in servizio i funzionari e gli ufficiali murattiani (sostenitori di Gioacchino Murat, generale francese, re di Napoli, e maresciallo dell’Impero con Napoleone) e di riconoscere il fatto compiuto per quanto riguardava l’alienazione dei beni demaniali ed ecclesiastici operata dal passato regime.

Fu mantenuto il “Codice napoleonico”, pur sotto il nome di “Codice ferdinandeo”; furono ripristinati alcuni dei privilegi nobiliari; si largheggiò in concessioni al clero, fino a ripristinare, contro tutta la tradizione giurisdizionalistica del regno, il foro ecclesiastico. Gli oppositori del nuovo regime si contarono perciò non solo tra i funzionari e gli ufficiali, minacciati nella loro carriera e nella conservazione dell’impiego, ma anche fra la nuova borghesia meridionale formatasi, appunto, al tempo di Murat, con l’acquisto delle terre demaniali ed ecclesiastiche. Così la Carboneria divenne il centro di raccolta di tutti gli scontenti, le cui diverse esigenze concordavano sulla richiesta d’una costituzione, considerata da tutti gli oppositori un necessario strumento di difesa dei propri interessi minacciati.

La decisione di Ferdinando di sopprimere la Costituzione elargita nel 1812 e di unificare i due regni, ferì profondamente l’orgoglio dei Siciliani, privati della loro secolare autonomia. Tornò quindi a manifestarsi il fenomeno del separatismo, della volontà di staccarsi dal resto del continente, una vera e propria costante nella storia dell’isola.

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