La Restaurazione in Italia: il lombardo-veneto

Il Regno lombardo-veneto venne annesso all’impero asburgico senza se e senza ma, strettamente subordinato alle direttive di Vienna. L’imperatore Francesco I (1768-1835), ai rappresentanti lombardi, disse che i Lombardi si sarebbero dovuti dimenticare per forza di cose di essere italiani. Le cariche di maggiore responsabilità erano state affidate a funzionari austriaci e le truppe di stanza nel regno erano costituite da Magiari, Boemi, Croati. Due congregazioni generali (l’una lombarda, l’altra veneta) di nomina imperiale, oltre a rappresentare all’imperatore le più strette necessità ed esigenze espresse dalla Nazione, avevano il delicato compito di ripartire le imposte stabilite dal governo di Vienna. La severità del fisco appariva alle popolazioni tanto più intollerabile in quanto l’Austria si serviva delle barriere doganali interne ed esterne al regno per favorire i prodotti austriaci e boemi a diretto discapito di quelli italiani.

La Valle padana venne considerata la riserva agraria dell’impero; per non danneggiare le manifatture transalpine, le industrie lombarde e venete non vennero mai incoraggiate, il porto di Venezia fu sacrificato. Logico è che gran parte del patriziato lombardo nutrisse sentimenti liberali e fortemente anti-austriaci. Tenuto a distanza di sicurezza da qualsiasi attività politica, esso si volse con forte impegno alle attività economiche, sociali, culturali, rinnovando in senso moderno l’agricoltura, introducendo macchine nell’industria tessile, per cui l’economia lombarda, già avviata fin dal Settecento verso la trasformazione capitalistica sia nell’agricoltura che nell’industria, continuò a progredire anche sotto il governo asburgico.

Il “Conciliatore”, un periodico scientifico-letterario che accoglieva la voce degli intellettuali avversi alla Restaurazione, venne censurato immediatamente, e costretto a cessare le sue pubblicazioni dopo appena un anno di vita. Ai promotori del giornale (tra cui ricordiamo il conte Federico Confalonieri e il conte Luigi Porro-Lambertenghi) e ai suoi collaboratori non restò dunque che volgersi all’attività cospirativa. Solo le campagne, ove forte rimaneva il peso della tradizione e più ascoltata era la voce del clero, restavano fedeli al governo austriaco.

Bisogna tuttavia riconoscere che l’amministrazione austriaca si distingueva per la probità dei suoi funzionari e l’efficienza dei servizi da loro concessi, e che ai sudditi di qualsiasi nazionalità erano riconosciuti gli stessi diritti civili di cui godevano i sudditi austriaci; era inoltre garantito a tutti l’uso della propria lingua nei tribunali, negli uffici, nell’insegnamento, nella stampa. Tutto ciò rispondeva all’aspirazione di creare una vasta compagine politica centro-europea, fondata sulle solide basi d’un grande mercato comune, retto da leggi che assicurassero una pacifica convivenza tra popoli diversi.

Il controllo dell’Austria non si limitava al Lombardo-Veneto, ma si estendeva più o meno su tutti gli Stati restaurati della penisola. Maria Luisa, ad esempio, duchessa di Parma, era figlia di Francesco I, e i Lorena signori di Toscana e gli Estensi di Modena e Reggio erano strettamente imparentati con gli Asburgo. Il granducato di Toscana e il re di Napoli si erano d’altronde impegnati con l’Austria a non consentire nei loro domini nessun mutamento delle istituzioni.

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