La Restaurazione in Italia: lo Stato pontificio

Papa Pio VII (1742-1823), 251º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dall’anno 1800 alla morte, appartenente all’ordine benedettino, con il suo atteggiamento fermo e intriso di ammirevole dignità nei confronti di Napoleone, aveva riguadagnato al Papato gran parte del prestigio perduto. Tuttavia il suo ritorno a Roma, nonostante i propositi di riforma caldeggiati dall’ala moderata del collegio cardinalizio, segnò il trionfo dei più intransigenti fautori dell’ordine antico (conosciuti come i “cardinali zelanti”), appoggiati dai Gesuiti, la cui Compagnia era stata riconosciuta dallo stesso Pio VII.

Roma tornò così ad essere una città parassitaria, come viene ben descritto nei sonetti di Giuseppe Giochino Belli (poeta italiano), vivente ai margini della corte papale; mentre le campagne del Lazio, divise tra le potenti famiglie patrizie e le altrettanto potenti congregazioni religiose, lasciate al pascolo e all’agricoltura estensiva, tornavano ad essere infestate dalla malaria e dai briganti. A ben guardare, comunque, anche in esse può cogliersi qualche segno di progresso: i mercanti di campagna, più imprenditori che coltivatori o proprietari di terre, costituiscono i nuovi elementi dinamici che rompono il ristagno economico dei piccoli centri rurali.

Ben diversa la situazione nelle Legazioni (Bologna, Ravenna, Forlì, Ferrara), che pure facevano parte dello stesso Stato pontificio. Qui le condizioni economiche più progredite e una più forte tradizione di autogoverno locale e di lotte municipali favorirono il fiorire delle sette e il formarsi di una condizione di endemica ribellione contro il malgoverno della Curia romana.

Una più cauta apertura ai tempi nuovi, in tale contesto, fu segnata dall’opera di governo del cardinale Ercole Consalvi (1757-1824). Questi si impegnò nella modernizzazione delle strutture amministrative dello Stato pontificio, dividendolo in 17 provincie sottoposte a cardinali legati, assistiti da congregazioni di carattere consultivo, formate in parte anche da laici nominati dal governo. I poteri e i privilegi baronali furono limitati; le alienazioni delle terre ecclesiastiche furono riconosciute, ma lo Stato si assunse l’onere di indennizzare le corporazioni religiose.

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