Dunque, le vittorie dei rivoluzionari erano il risultato di un nuovo tipo di professionismo. Non bisogna, proprio per questo, trascurare il fattore politico. La conduzione della guerra era uno dei compiti più importanti che incombevano ai grandi comitati, i quali interpretavano il loro ruolo in modo estremamente interventistico. I rappresentanti in missione si recavano sovente presso le armate, così come nei dipartimenti, per controllare che la conduzione della guerra si ispirasse alle istruzioni politiche date antecedentemente. I commissari alla guerra mantenevano una presenza politica fin nei battaglioni stessi. Anche nelle battaglie l’autorità militare non si distingueva chiaramente dal controllo politico, poiché i rappresentanti potevano sconfessare gli ufficiali responsabili quando ritenevano che le circostanze lo imponessero.
Questo non era tuttavia un atteggiamento condiviso a livello continentale. Mentre nelle armate degli altri paesi si dispiegava il massimo sforzo per estirpare tutto ciò che prendeva una connotazione politica, la repubblica cercò volontariamente di politicizzare i soldati. Essi erano, dopo tutto, dei cittadini, e godevano in quanto tali delle libertà politiche. Potevano votare, prendere parte a manifestazioni, costituire club nell’ambito dell’armata o frequentare quelli delle città nelle quali erano di stanza. Si distribuivano dei giornali ai soldati per completare adeguatamente la loro educazione politica. Le arringhe contribuivano a rafforzare la motivazione degli uomini alla vigilia di una battaglia, e ci si serviva delle feste patriottiche per illustrare la politica in modo vivo e concreto.
Insomma, la politicizzazione dell’esercito divenne pratica comune in Francia, e fu uno degli elementi vincenti che contraddistinse l’esercito rivoluzionario.