La patria in pericolo

Alle prime notizie delle sconfitte subite ad opera degli Austriaci e dei Prussiani, la Francia fu ragionevolmente colta da un profondo moto di sgomento, che si risolse tuttavia nella ferma determinazione di salvare il paese dall’invasione. Questo stato d’animo (racchiuso nell’espressione ‘La patria in pericolo’) è rivissuto da Jules Michelet (attento studioso delle fonti archivistiche, scrisse una Storia di Francia in 19 volumi (1833-1867), monumentale opera incentrata sull’idea della progressiva affermazione della libertà nel sistema istituzionale francese, e una Storia della Rivoluzione francese in 7 volumi (1847-1853), tema a cui dedicò un decennio di ricerche, interrogando anche testimoni oculari), autore di una celebre Storia della Rivoluzione, che fu il primo esempio dell’interpretazione patriottica e libertaria della Rivoluzione, e che continua ancora oggi ad offrire un punto di riferimento importante per la storiografia.

L’autore, contro gli storici che, come Tocqueville, vedevano negli avvenimenti del 1789 la conclusione di un’evoluzione interna alla società francese, sottolineò e celebrò il momento della rottura rivoluzionaria operata dal popolo, scrivendo la storia della Rivoluzione più rivoluzionaria che ci sia.

Ecco alcuni passi significativi della sua opera:
“Il tradimento di Longwy e quello di Verdun (due fortezze del confine orientale della Francia che, dopo breve resistenza, si consegnarono ai Prussiani aprendo loro la via di Parigi), di cui si ebbe notizia subito dopo, riempirono Parigi di una sensazione di vertigine e di terrore. Non c’era più nulla di sicuro. Era troppo evidente che lo straniero aveva dappertutto intelligenze. Esso avanzava con una sicurezza, una fiducia significativa, come in un paese che gli appartenesse. Chi l’avrebbe fermato fino a Parigi? Apparentemente nulla. Anche qui, quale resistenza sarebbe stata possibile in mezzo a tanti traditori? Questi traditori come distinguerli? Ciascuno osservava il vicino; sulle piazze e nelle strade, il passante gettava al passante uno sguardo diffidente, inquieto; tutti si immaginavano di vedere, in tutti, gli amici del nemico […]
E proprio a questo punto, in cui essa si sentì addosso la mano della morte, con una violenta e terribile contrazione suscitò da se stessa una potenza inattesa; fece scaturire dal suo seno una fiamma che il mondo non aveva mai visto […] Ah come vorrei poter mostrare la Francia in quel grande e sublime giorno! E’ ben poca cosa vedere Parigi. Come vorrei che si potessero vedere tanti dipartimenti, in piedi, compatti in otto giorni, e in atto di lanciare ciascuno un’armata per marciare contro il nemico! […]
Ciò che veramente era più serio, più commovente, era il sentimento di profonda mirabile solidarietà che si manifestava dappertutto. Ognuno si rivolgeva agli altri, parlava, pregava per la patria. Ognuno si faceva arruolatore, andava di casa in casa, offriva a chi poteva partire armi, un’uniforme e quello di cui disponeva. Tutti erano oratori, tutti predicavano, disertavano, cantavano inni patriottici … E sopra tutti questi rumori una grande voce risuonava nei cuori, voce muta, tanto più profonda … la voce stessa della Francia, eloquente in tutti i suoi simboli, patetica nel più tragico di tutti, la bandiera, santa e terribile della Patria in pericolo, appesa alle finestre dell’Hotel de Ville (Municipio o Comune). Bandiera immensa, che ondeggiava al vento, e sembrava far segno alle legioni popolari di marciare in fretta dai Pirenei alla Schelda, dalla Senna al Reno.”

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