La lotta alla povertà nello Stato pontificio

Luciano Nasto, all’interno del suo testo dal titolo “Le feste civili a Roma nell’Ottocento”, conferma come anche nello Stato pontificio la politica protezionistica inaugurata generalmente dai governi restaurati fosse destinata al fallimento e dovesse generare scontento e delusione. Da ravvisare, comunque, la presenza di un qualche interesse volto ad avviare i moderni sistemi di produzione meccanizzata col paternalistico ricorso alla forza-lavoro dei poveri e dei mendicanti concentrati nei reclusori (prigioni).

Sin dalla seconda metà del ‘700 a Roma, come in tutta l’Europa, la paura della povertà si era particolarmente intensificata e diffusa. Essendo cessate le epidemie che regolavano la crescita della popolazione, i poveri aumentavano di numero e i governi cercavano di arginare il fenomeno tentando di impedire il matrimonio ai disoccupati e alle persone senza mestiere. Altre misure di questo tipo erano rappresentate dalla reclusione dei vagabondi in grandi serragli (per definizione “Il serraglio è un’accolta di animali, per lo più feroci o comunque rari e non domestici, fatta principalmente allo scopo di attirare la curiosità e di promuovere il divertimento delle masse”) e dall’allestimento di fabbriche statali, spesso all’interno dei reclusori. Questi ultimi provvedimenti furono largamente utilizzati nello Stato pontificio, ove si stava facendo strada, in maniera sempre più marcata, la scienza nuova dell’economia politica.

Pio VI fu autore, insieme al cardinal Fabrizio Ruffo, di una serie di importanti interventi. L’azione di questo papa, tuttavia, fu interrotta bruscamente dall’arrivo dei Francesi. L’occupazione francese non migliorò certo le condizioni di vita dei mendicanti. Il nuovo papa, Pio VII, al suo definitivo ritorno a Roma, nel 1814, constatò il grado di sofferenza di buona parte della società. Masse di vagabondi premevano nelle campagne: era sempre più complicato trovare un lavoro stabile. Il pontefice tentò dunque, ispirandosi ai suoi predecessori, di contenere il fenomeno della povertà attuando un articolato programma d’intervento. il Piano prevedeva anzitutto che i fedeli elargissero i loro oboli direttamente allo Stato per evitare la “quotidiana insolenza degli accattoni”, ai quali era tolta, almeno in teoria, ogni possibilità di chiedere la carità. I due reclusori aperti dai Francesi furono chiusi nel 1818 e i poveri furono radunati nell’ex deposito di grano delle Terme, volgarmente detto Termini.

Tuttavia, negli ospedali e nei reclusori mancava l’essenziale. Lo Stato, per limitare i ricoveri coatti, spendeva per la sola assistenza a domicilio delle famiglie indigenti una cifra intorno ai 120.000 scudi l’anno. Nonostante queste misure i mendicanti continuavano a percorrere le vie della città; il fallimento del Piano di Pio VII cominciava ad apparire evidente.

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