La Grande Guerra delle donne

Nell’immaginario collettivo, è forte la tendenza a considerare come dato di fatto il ruolo subalterno ricoperto dalle donne all’interno del contesto bellico caratterizzante la Grande Guerra. Da quando, negli ultimi decenni, ha preso campo la ‘storia di genere’, anche gli interrogativi sui rapporti tra le donne e la Prima guerra mondiale si sono moltiplicati, aprendo prospettive nuove ed impreviste.

La storiografia moderna mostra di come, generalmente, la memoria dell’evento sia assai diversa tra uomini e donne. L’immagine maschile è prettamente caratterizzata dal senso del lutto, della sofferenza e della tragedia, mentre quella femminile più da un senso di liberazione e di orgoglio retrospettivo, come anche di una accresciuta fiducia in se stesse. Nelle fotografie dell’epoca le donne ritratte nelle mansioni un tempo riservate agli uomini, come per esempio quelle adibite ai trasporti, appaiono generalmente fiere e sorridenti, quasi fossero state investite da una rinnovata consapevolezza.

Non bisogna naturalmente generalizzare, e si deve sempre tener conto delle diversità regionali e sociali. Una cosa era la condizione delle donne appartenenti alle classi popolari, costrette a subire costantemente ristrettezze economiche e alimentari, il peso di nuove responsabilità e quantità incredibili di lavoro derivante dall’accumulo di compiti per l’assenza degli uomini; un’altra quella delle giovani operaie da poco entrate nel lavoro di fabbrica, esposte a lavori pesanti e pericolosi, ma disposte ad accettare la tutela maschile, quasi paterna; un’altra ancora quella delle donne appartenenti alla classe media, le quali trovarono, forse per la prima volta, la via per uscire dall’occludente ambito familiare, così da sentirsi valorizzate in compiti socialmente utili e pubblicamente riconosciuti. Da non dimenticare anche il caso estremo di quelle donne che dovettero subire violenze sessuali ad opera degli eserciti occupanti.

Non tutte, quindi, vissero il tempo di guerra allo stesso modo, fu un’esperienza profondamente diversa per ciascuna, ma, almeno per alcune, la memoria di quel tempo come un tempo felice risulta comprensibile, in quanto rinvia al senso di liberazione da una vita caratterizzata dalla ristrettezza dell’ambito privato e domestico, dal ruolo di madri e spose, al quale erano generalmente confinate ancora alla vigilia della guerra.

Al momento della mobilitazione generale, la guerra sembrò rimettere ordine e distinzione tra i generi, rinvigorendo da un lato il mito dell’uomo difensore della patria e della casa, dall’altro l’immagine di donna custode del focolare domestico. Ma il prolungarsi della guerra ribaltò questa visione. A parte i rischi e i disagi, gli uomini cominciarono a sentire progressivamente la permanenza al fronte come una sorta di segregazione, di emarginazione dal proprio mondo e, in definitiva, di riduzione del proprio ruolo: fare la guerra richiedeva soprattutto sopportazione e adattamento a una sostanziale e logorante passività, mentre le donne videro moltiplicati e loro compiti.

L’importante consumo di energie umane determinato dalla Grande Guerra, il bisogno crescente di manodopera in tutti i settori e specialmente in quelli della produzione bellica, provocarono in effetti una specie di invasione di campo femminile nelle più disparate attività. Le donne divennero tranviere, ferroviere, portalettere, impiegate di banca e dell’amministrazione pubblica, operaie nelle fabbriche di munizioni. Questo chiaramente comportò la rottura di alcuni tabù e di alcuni confini imposti tra i compiti e i ruoli, così come un senso inedito di libertà per le donne: vivere sole, uscire da sole, assumersi autonomamente la responsabilità di conduzione erano cose che un tempo apparivano impensabili, mentre in quel contesto diventarono abitudine.

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