La Grande Guerra degli Stati Uniti

Nel novembre del 1916 il presidente Thomas Woodrow Wilson (Staunton, 28 dicembre 1856 – Washington, 3 febbraio 1924) vinse le elezioni negli Stati Uniti per il suo secondo mandato grazie a una campagna che venne orientata su ipotesi isolazioniste, anche se pochi mesi dopo decise l’ingresso nella Grande Guerra. Quali furono le motivazioni alla base di tale inversione di marcia?

Si può dire, senza timore di smentita, che la decisione con la quale gli Stati Uniti si lasciarono coinvolgere in quella che gli Americani definivano come “la guerra in Europa” fu tra le più spettacolari inversioni di rotta che la storia diplomatica moderna annovera, un evento che molti non riuscirono a digerire con facilità. Come per esempio il senatore della Virginia Thomas S. Martin, il quale era convinto che qualche esiguo aiuto finanziario agli Alleato e una dimostrazione di forza navale sarebbero stati più che sufficienti. Nel 1914 le potenze europee si erano trovate letteralmente catapultate all’interno del conflitto, senza avere tempo per riflettere sulle sue conseguenze, mentre nel 1917 gli Americani ragionavano e discutevano sulla questione ormai da due anni e mezzo.

Il presidente Wilson era stato eletto al suo secondo mandato nel novembre del 1916 al grido “Lui ci terrà fuori dalla guerra!”. I riformatori e gli intellettuali progressisti, poi, temevano i cambiamenti che la guerra avrebbe potuto portare, in quanto l’inizio delle ostilità avrebbe spazzato via ogni altra priorità e ridato energia viva alle forze più reazionarie. Inoltre, nel 1917 il pubblico d’oltreoceano, grazie ai giornali, era perfettamente consapevole del colossale bagno di sangue che la Francia stava vivendo. In sostanza, la politica interventista americana non godeva del sostegno popolare. A convincere Wilson a cambiare idea sul coinvolgimento bellico fu la constatazione di non avere scelta, il conflitto in Europa era diventato inevitabile per il suo Paese. Il governo tedesco aveva deciso di puntare sulla possibilità di tagliare le linee di rifornimento atlantiche della Gran Bretagna, e i rinnovati assalti degli U-boot ai mercantili americani che battevano bandiera neutrale erano sia uno schiaffo in faccia ai tentativi di pace di Wilson sia un attacco deliberato e sfrontato agli interessi del suo Paese.

Importante poi fu la vicenda relativa al contenuto di un telegramma in codice con cui il ministro degli Esteri tedesco Arthur Zimmermann proponeva un’alleanza militare al presidente del Messico, offrendo come incentivo il ritorno in mano messicana dell’Arizona, del Nuovo Messico e di parte del Texas, territori ceduti agli Stati Uniti negli anni Quaranta dell’Ottocento. Il ritiro della Russia dalla Grande Guerra, poi, giocò la sua parte, in quanto l’America non sarebbe più dovuta scendere in campo a fianco di uno Stato dispotico. Il presidente Wilson presentò la sua decisione in termini prettamente idealistici: l’obiettivo ultimo era quello di mettere in sicurezza il mondo intero attraverso la democrazia.

L’aprile del 1917 vide un’esplosione di entusiasmo interventista, caratterizzato da bandiere issate al vento, editoriali patriottici sui giornali, frequenti discorsi pubblici. Venne radunato un esercito di vaste dimensioni: quasi cinque milioni di Americani indossarono l’uniforme, due milioni attraversarono l’Atlantico. Di questi ultimi, più di 110000 persero la vita, 53mila dei quali in combattimento. Nel giugno del 1918, nella loro prima battaglia su vasta scala, le truppe americane sconfissero i Tedeschi nella battaglia del Bosco Belleau. L’11 novembre, con la vittoria ormai in tasca, le città americane festeggiarono l’Armistizio bruciando in pubblico immagini del Kaiser.

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