La formazione della coscienza operaia

Con l’industrializzazione viene meno la tradizionale struttura della famiglia patriarcale contadina, una sorta di comunità allargata che annetteva anche i congiunti dei figli, e si delinea la nuova famiglia mono-nucleare, chiusa a influenza esterne, costituita dal padre, dalla madre, dai figli: un aggregato nel quale sbiadisce lentamente la figura paterna ed avanzano i diritti della donna ora lavoratrice. Con la vita di fabbrica si intrecciano nella comunità operaia rapporti interpersonali più liberi e aperti di quelli propri della tradizione contadina. Nelle comunità arcaiche gli individui erano legati tra loro da rapporti profondi, fondati sul sangue, sul vicinato; erano dei vincoli che impegnavano interamente l’uomo per tutta la sua vita. Nella società cittadina e industriale, di contro, i rapporti sono meno stringenti e profondi, sono indiretti e limitati. Per fare un esempio, i rapporti che legno gli impiegati nel loro ufficio, o gli operai della fabbrica stessi, coinvolgono gli individui solo parzialmente, essendo contraddistinti prevalentemente da contratti e regolamenti. In tal modo l’operaio compì i primi passi per conquistare una mentalità più libera e progressista. Questo processo venne tuttavia facilitato dalla possibilità di accostarsi, nei centri urbani, ad esperienze culturali e morali che si contrapponevano al dogmatismo dell’immobile e stantia cultura della comunità rurale. Ma fu soprattutto attraverso una lunga pratica di lotta politica, di scontri col padronato e col governo, che i lavoratori, soprattutto in Inghilterra, acquistarono il senso dell’identità dei loro interessi, il “sentimento operaio”, elaborarono una nuova concezione della vita e della storia che finirà col contrapporre all’ideale dell’energia individuale della classe imprenditoriale i valori dell’utile sociale, avanzando così l’etica del socialismo contro l’etica del liberalismo.

Già nell’età delle guerre contro Napoleone si trovano le testimonianze d’una comune coscienza degli operai che si oppongono ai padroni delle fabbriche ed alla classe dirigente. Non mancarono le proteste degli operai, tessili soprattutto, che sfociarono in momenti di estrema tensione. Contro l’introduzione di macchine sempre più numerose e sempre più perfezionate, che provocarono massicci licenziamenti della mano d’opera nelle fabbriche, gli operai reagirono rompendole a colpi di martello. Questo fenomeno viene conosciuto come luddismo (dal nome di Ned Ludd, un leggendario operaio tessile che si proclamò riparatore d’ingiustizie), e si manifestò in Inghilterra soprattutto nel 1811-’12, gli anni del Blocco continentale, e nel 1816-’17, gli anni del ristagno economico prodotto dalla fine della guerra.

Alle inquietudini degli operai e alle loro esplosioni di collera contro le macchine corrispose la repressione dei governi, impegnati a mantenere l’ordine a qualunque costo, in modo tale da far conservare alla borghesia capitalistica l’egemonia politica e sociale. Si giunse addirittura, nel 1816, a sospendere l’Habeas Corpus Act, un caposaldo delle libertà civili che garantiva il cittadino inglese dagli arresti arbitrari. Gli operai cercarono di difendersi dando vita a società di mutuo soccorso e costituendo organismi di lotta (sindacati) che furono, specialmente all’inizio, costretti alla clandestinità. Solo nel 1824 le “Unioni di lavoro” (Trade Unions) ottennero riconoscimento giuridico, anche se lo sciopero continuò ad essere rigorosamente vietato.

In questa azione di difesa i di lotta il proletariato venne talvolta supportato da alcuni esponenti della borghesia liberale e progressista (radicali), di estrazione piccolo e medio-borghese, i quali promossero vivaci campagne di opinione pubblica, schierandosi al fianco degli operai, anche se la lotta per l’emancipazione operaia continuò ad essere dura e sanguinosa. Gli scioperi e le marce organizzate nelle città dai disoccupati provocarono violente repressioni. Ma la coscienza della classe operaia, oramai, era sorta.

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