La fine della Battaglia di Stalingrado

2 Febbraio 1943, Seconda guerra mondiale: la fine della Battaglia di Stalingrado.

“Alla fine dell’estate 1942, le sorti di Adolf Hitler sembravano essere di nuovo in ascesa”. Dal Capo Nord in Norvegia fino all’Egitto, dall’Atlantico fino alle rive meridionali del Volga, la bandiera tedesca sventolava incontrastata. Il 23 agosto le truppe della Sesta Armata, guidate da Friedrich Wilhelm Ernst Paulus (Breitenau, 23 settembre 1890 – Dresda, 1º febbraio 1957), avevano raggiunto il Volga a Nord di Stalingrado per poi procedere al tentativo di conquista della città, difesa strenuamente dai Sovietici.

“Stalingrado era divenuta fine a se stessa. Per Hitler, la presa della città era ormai una questione di battaglia personale”. L’ultimo giorno del mese di agosto, Erwin Johannes Eugen Rommel (Heidenheim, 15 novembre 1891 – Herrlingen, 14 ottobre 1944) in Africa lanciò l’attacco ad El Alamein, con la speranza di sfondare le linee inglesi e raggiungere il Nilo. Ma l’illusione di avere la vittoria del conflitto a portata di mano non durò che pochi mesi: il disastro di Stalingrado, dove i Tedeschi furono accerchiati da forze nettamente superiori, segnò, insieme proprio alla sconfitta di El Alamein e agli sbarchi anglo-americani nel Nord Africa, il capovolgimento definitivo delle sorti della Seconda guerra mondiale.

“Fra le nevi di Stalingrado e le sabbie ardenti del deserto nord-africano il grande sogno nazista svanì”. Ai reiterati e disperati tentativi dei suoi stessi generali di fargli accettare l’inevitabile, e quindi la ritirata delle truppe di von Paulus da Stalingrado, ormai tagliate fuori dal resto dell’esercito, Hitler oppose come da copione il suo fanatismo privo di alcuna presa di coscienza responsabile: “Dove il soldato tedesco mette piede, là resta”. Trecentomila uomini della VI Armata di von Paulus mossero dunque all’attacco di Stalingrado, difesa, oltreché dall’esercito rosso, dagli operai delle fabbriche. Tra le macerie della città distrutta dai bombardamenti aerei i difensori si batterono animosamente, finché una poderosa controffensiva da Nord non rovesciò la situazione chiudendo il 23 novembre l’armata tedesca in una morsa mortale.

Il 2 febbraio, quando von Paulus, contravvenendo apertamente agli ordini del Führer, prese la saggia decisione di cessare il fuoco, all’incirca 91000 soldati Tedeschi, affamati e feriti, procedettero incespicando tra la neve e il freddo alla volta dei gelidi campi di prigionieri di guerra siti in Siberia. Questo era quanto rimase dell’esercito che appena due mesi prima contava circa 300000 uomini. Il resto era stato massacrato.

La Battaglia di Stalingrado mutò radicalmente il corso di tutta la guerra. Da lì prese il via una controffensiva che non si arrestò se non a Berlino, seppellendo sotto un cumulo di macerie il regime e l’ideologia nazisti. Il sacrificio umano sovietico, comunque, fu altrettanto terribile: in quella sola battaglia l’URSS perse un numero di uomini superiore ai caduti americani di tutto il conflitto.

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