Gli effetti dell’introduzione delle macchine all’interno del processo produttivo saranno analizzati ampiamente da Marx nel primo volume de “Il Capitale”.
Qui di seguito riporto uno stralcio dell’opuscolo sopracitato:
“La più grande divisione del lavoro rende capace un operaio di fare il lavoro di cinque, di dieci, di venti; essa aumenta quindi di cinque, di dieci, di venti volte la concorrenza fra gli operai. Gli operai si fanno concorrenza non soltanto vendendosi più a buon mercato l’uno dell’altro; essi si fanno concorrenza nella misura in cui uno fa il lavoro di cinque, di dieci, di venti, e la divisione del lavoro, introdotta dal capitale e sempre accresciuta, costringe gli operai a farsi questo genere di concorrenza. Inoltre, nella stessa misura in cui la divisione del lavoro aumenta, il lavoro si semplifica. L’abilità particolare dell’operaio perde il suo valore. Egli viene trasformato in una forza produttiva semplice, monotona, che non deve più far ricorso a nessuno sforzo fisico e mentale. Il suo lavoro diventa lavoro accessibile a tutti. Perciò da ogni parte si precipitano su di lui dei concorrenti; e ricordiamo inoltre che quanto più il lavoro è semplice, quanto più facilmente lo si impara, quanto minori costi di produzione occorrono per rendersene padroni, tanto più in basso cade il salario, perché, come il prezzo di qualsiasi altra merce, esso è determinato dai costi di produzione. Nella misura, dunque, in cui il lavoro diventa tedioso e privo di soddisfazioni, nella stessa misura aumenta la concorrenza e diminuisce il salario”.