La divisione del lavoro

In un opuscolo del 1849, titolato “Lavoro salariato e capitale”, Marx espose in forma prettamente divulgativa alcuni concetti chiave della sua visione dell’economia. L’autore descrive principalmente il processo dello sviluppo capitalistico in base al principio della divisione del lavoro e all’introduzione di macchine sempre più perfezionate, funzionali alla riduzione dei costi del lavoro, con la logica conseguenza dell’incremento del profitto finale. Ma i costi della divisione del lavoro, nell’interpretazione che Marx dà del fenomeno, sono sopportati esclusivamente dagli operai, parte lesa, costretti a farsi concorrenza sia venendosi più a buon mercato sia tentando di eseguire, ognuno, il lavoro anche di altri. Viene dato inoltre risalto al fatto che con le semplificazioni introdotte nel processo produttivo dalla divisione del lavoro, l’abilità del lavoro individuale perde il suo valore; non vengono infatti più richiesti particolari competenze, sforzi creativi o mentali, spesso nemmeno fisici. Ciò porta ad un abbassamento dei salari, ad un aumento dei licenziamenti, all’assunzione di donne e bambini con compensi minimi, allo sprofondamento nell’esercito dei proletari di piccoli artigiani travolti dal nuovo sistema di produzione.

Gli effetti dell’introduzione delle macchine all’interno del processo produttivo saranno analizzati ampiamente da Marx nel primo volume de “Il Capitale”.
Qui di seguito riporto uno stralcio dell’opuscolo sopracitato:
“La più grande divisione del lavoro rende capace un operaio di fare il lavoro di cinque, di dieci, di venti; essa aumenta quindi di cinque, di dieci, di venti volte la concorrenza fra gli operai. Gli operai si fanno concorrenza non soltanto vendendosi più a buon mercato l’uno dell’altro; essi si fanno concorrenza nella misura in cui uno fa il lavoro di cinque, di dieci, di venti, e la divisione del lavoro, introdotta dal capitale e sempre accresciuta, costringe gli operai a farsi questo genere di concorrenza. Inoltre, nella stessa misura in cui la divisione del lavoro aumenta, il lavoro si semplifica. L’abilità particolare dell’operaio perde il suo valore. Egli viene trasformato in una forza produttiva semplice, monotona, che non deve più far ricorso a nessuno sforzo fisico e mentale. Il suo lavoro diventa lavoro accessibile a tutti. Perciò da ogni parte si precipitano su di lui dei concorrenti; e ricordiamo inoltre che quanto più il lavoro è semplice, quanto più facilmente lo si impara, quanto minori costi di produzione occorrono per rendersene padroni, tanto più in basso cade il salario, perché, come il prezzo di qualsiasi altra merce, esso è determinato dai costi di produzione. Nella misura, dunque, in cui il lavoro diventa tedioso e privo di soddisfazioni, nella stessa misura aumenta la concorrenza e diminuisce il salario”.

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