La condizione dei contadini italiani nel primo Ottocento

La trasformazione capitalistica delle campagne, della quale abbiamo dato conto nel precedente articolo, ebbe in Italia una dimensione piuttosto limitata. Alfonso Scirocco, storico del Risorgimento e autore di esemplari testi su Garibaldi e sul brigantaggio, affronta il tema nel suo testo “L’Italia del Risorgimento”. Secondo quanto da lui sostenuto, la grande azienda moderna fu una splendida eccezione, un modello tanto spesso citato quanto raramente imitato. Non solo la miseria contadina rimase sostanzialmente immutata, ma furono le plebi agricole a fare maggiormente le spese della trasformazione in atto, là dove questa si realizzò compiutamente. Il problema delle campagne, tuttavia, non suscitò nelle classi dirigenti italiane timori per la stabilità sociale. Fonte di turbamento infatti continuavano ad essere le plebi cittadine e i primi nuclei operai. Le condizioni di vita dei contadini non stuzzicavano dunque l’attenzione dei politici, e a malapena ispiravano i progetti di quanti si dichiaravano pedagogisti e filantropi.

Qui un estratto del testo di Scirocco, che al meglio descrive la condizione contadina nella cultura politica del primo Ottocento italiano:

“Le campagne risentono poco della modernizzazione che trasforma le città. Abbiamo visto che i grandi cambiamenti avvenuti nell’assetto della proprietà durante l’età napoleonica non hanno mutato i rapporti di produzione. All’aumento della popolazione che incrementa i consumi e sollecita una maggiore produzione raramente si risponde col miglioramento delle tecniche agricole. Pochi i proprietari illuminati che realizzano i sistemi più moderni nella conduzione di grandi aziende, come Ricasoli a Brolio, Ridolfi a Meleto, rappresentanti una splendida eccezione, e restano spesso modelli citati, raramente imitati. Prevale la soluzione più facile di mettere a coltura terre marginali, di scarsa produttività. Il disboscamento e la coltivazione di terre in pendio aggravano nel Mezzogiorno il dissesto idrogeologico. Dalla Lombardia alla Toscana, dal Mezzogiorno alla Sicilia i contratti diventano più sfavorevoli ad affittuari, mezzadri, coloni, salariati. La crescente commercializzazione rende meno redditizie le tradizionali attività complementari, quali la tessitura a domicilio.
Il peggioramento delle condizioni di vita nelle campagne non è rilevato dalla classe dirigente. I timori per la stabilità sociale sono alimentati dalla plebe cittadina e dai primi nuclei di operai nei sobborghi delle città; alle plebi cittadine va la sollecitudine dei filantropi, che si rivolge allo sfruttamento dei minori nelle fabbriche. L’impoverimento dei contadini non è, invece, oggetti di particolari preoccupazioni […] In linea generale i pasti delle popolazioni rurali sono basati su pane di cattiva qualità, cereali, legumi e verdure, raramente integrati dalla carne. Ne risulta una condizione di cronica sottoalimentazione, che aggrava gli effetti delle epidemie. Poca difesa danno le abitazioni, piccole, mal costruite, in alcuni luoghi riparo anche degli animali […] Nelle campagne l’assistenza medica è, però, spesso inesistente […]
Il quadro delle campagne ha aspetti diversi nelle varie parti della penisola. Migliori sono le condizioni dei contadini in Lombardia, peggiori nello Stato pontificio, nel Mezzogiorno, in Sicilia. Dovunque, però, opinione pubblica e governi, attenti ai problemi delle città e delle plebi cittadine, non prestano uguale cura ai problemi delle campagne ed all’impoverimento del mondo contadino. In fondo la soluzione della questione sociale si fa dipendere dal conseguimento di un benessere economico generalizzato, che si spera di raggiungere sollecitando i sovrani a perseverare nella politica di riforme messa in moto negli anni Trenta”.

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