Le abitazioni venivano spesso collocate negli spazi lasciati liberi dalle fabbriche, dai capannoni e dai parchi di smistamento, quasi a rivestire un ruolo secondario ormai nella vita degli individui, e spesso venivano costruite in zone già estremamente affollate. La ferrovia non correva al margine della città industriale, anzi era, per così dire, invitata razionalmente a percorrere il cuore stesso della città, tanto che il suo tracciato creava una sorta di barriera invalicabile tra vasti quartieri urbani. Anche qui, non v’erano regole se non quelle determinate dal profitto.
Perfino le classi ricche, che avrebbero potuto vivere meglio in ambienti meno insalubri, spesso finivano con l’accettare il peggio quasi con indifferenza. Lewis Mumford, urbanista e sociologo statunitense, autore del testo “La città nella storia”, non condivide affatto l’ottimismo di quanti celebrano il migliorato tenore di vita della popolazione delle città industriali. Anzi, questo è quanto scrive:”Quelli che parlano con disinvoltura dei progressi urbani realizzati in questo periodo e del presunto aumento del tenore di vita sono ben lontani dalla realtà dei fatti”.