La campagna di Russia

L’alleanza dinastica che, suggellata dal matrimonio asburgico, si era costituita tra Francia ed Austria aveva allarmato lo zar di Russia Alessandro. I progetti di spartizione del mondo tra Russi e Francesi, stesi dopo l’incontro sul Niemen, svanivano e, poiché le misure del Blocco danneggiavano i traffici russi, alla fine del 1810 lo zar emise una serie di decreti che ponevano fine al boicottaggio delle merci britanniche.
Altro punto d’attrito tra le due potenze era la Polonia. Creando il granducato di Varsavia, Napoleone aveva invaso la sfera d’influenza dello zar. Altrettanto preoccupante era l’intervento francese in Svezia, anch’esso a scapito dell’egemonia russa sul Baltico. Nel 1811 Napoleone era convinto dell’inevitabilità della guerra con la Russia, essendo questa la sola potenza che gli sbarrava effettivamente la strada del dominio mondiale incontrastato. Nel marzo 1812 scriveva che “un solo colpo inferto al cuore dell’impero russo, a Mosca, avrebbe posto in ginocchio lo zar e gli avrebbe aperto la via dell’India”.

Animato da questo intento, il ‘signore della guerra’ cominciò i preparativi per quella spedizione che avrebbe decretato la fine del suo potere. Il 24 giugno 1812 seicentomila uomini attraversarono il Niemen, in Lituania, penetrando all’interno dell’impero zarista. Di essi solamente trecentomila erano francesi; per il resto si trattava di truppe alleate: italiani, tedeschi, polacchi e perfino contingenti di truppe austriache e prussiane, i cui sovrani avevano dovuto sottoscrivere una formale alleanza militare con la Francia su base non propriamente spontanea. Napoleone presumeva di distruggere l’esercito dello zar nel giro di poche settimane.
Il comando russo, tuttavia, deluse ben presto le sue aspettative. Adottando la tattica già sperimentata da Pietro il Grande all’inizio del Settecento contro gli Svedesi di Carlo XII, i Russi si ritirarono attirando il nemico all’interno del loro sconfinato paese, dopo aver dato alle fiamme raccolti, depositi, villaggi, in modo da non lasciare ai Francesi che terra bruciata. Isolata nella pianura russa, la ‘Grande Armée’ perse di giorno in giorno la propria capacità offensiva, mentre la difesa della Russia ispirava la resistenza delle masse contadine e spingeva alla lotta contro l’invasore anche i servi della gleba.

A Borodino, sulla Moscova, il generale in capo Kutuzov tentò di sbarrare il passo al nemico col proposito di impedirgli l’accesso a Mosca. Le perdite furono elevatissime da entrambe le parti: 50.000 i Russi caduti, 30.000 i Francesi, ma neppure questa volta Napoleone poté cogliere un successo decisivo: Kutuzov si ritirò verso nord-est lasciando aperta la via di Mosca, ove Napoleone entrò il 4 settembre. Nei giorni successi egli attese però invano che comparissero gli inviati dello zar a supplicare la pace; dovette invece assistere al divampare di un incendio appiccato da mani ignote ed al trasformarsi della città in un ammasso di rovine fumanti. Avanzava nel frattempo l’inverno russo, mentre da ogni parte cominciava la guerriglia contro i distaccamenti francesi isolati dal grosso delle truppe. Napoleone dovette rassegnarsi, e ordinò la ritirata.

Il freddo, la penuria dei rifornimenti, gli attacchi della cavalleria cosacca e dei paesani armati trasformarono la marcia in un disastro senza precedenti. I resti della ‘Grande Armée’, decimati ancora al passaggio della Beresina, rientravano a Vilna, in Polonia, alla fine del novembre 1812: non più di 100.000 dei 600.000 uomini che si erano messi in marcia per la grande campagna nel giugno di quello stesso anno. A Mosca si arrestò dunque l’onda della grande Rivoluzione, e dal riflusso fu inghiottita l’armata napoleonica, e forse la Francia stessa.

Precedente L'insurrezione spagnola Successivo La fine dell'Impero napoleonico