Napoleone, a ben guardare, non aveva alcuna intenzione di combattere la Prussia; la guerra scoppiò perché, dopo le vittorie conseguite nel 1805, la Francia aveva ottenuto un tale predominio entro l’Europa centrale da non permettere l’esistenza di un’altra grande potenza. L’enorme presenza militare piazzata da Napoleone vicino al cuore dello Stato prussiano creò una minaccia che non poté passare inosservata, ed il risultato fu una vittoria di eccezionale portata a favore di Bonaparte.
L’incertezza era presente anche all’interno della battaglia napoleonica, ma indubbiamente in misura decisamente minore rispetto a quanto non lo fosse nella guerra dei Paesi che a lui si opposero; il comandante disponeva di conoscenze più sicure di quanto sia possibile oggi.
Se le sue forze erano uguali o superiori a quelle del nemico, avrebbe allora tentato di prenderlo ai fianchi estendendo il proprio fronte o lanciando un attacco di fianco con corpi d’armata separati.
Napoleone preferiva l’attacco, e disprezzava le battaglie puramente difensive. Il suo grande punto di forza erano il carisma spropositato e la fiducia nella propria assoluta superiorità, elementi che riusciva a trasmettere alle sue truppe e ai suoi ufficiali/generali, come anche ai suoi avversari. Enorme era la sua utilizzazione delle passioni umane.
Tra le ragioni della sua lunga serie di vittorie ci fu la difficoltà provata dai suoi avversari nel comprendere a pieno il suo modo di combattere e nell’escogitare delle risposte concrete. Insomma, la sua rivoluzione della guerra non consistette in una improvvisa innovazione, bensì nel più generale ed energico impiego di istituzioni e metodi esistenti da decenni. Nessuno riuscì ad eguagliare Napoleone nella sua magistrale padronanza delle tecniche operative e nella sua passione per l’annientamento fisico dell’avversario.