Le istruzioni di quest’ultimo non soltanto raccomandavano che l’armata vivesse a spese del paese conquistato, imponendogli onerosissimi contributi, ma addirittura di darsi al saccheggio generalizzato senza porsi il benché minimo problema. Ci fu un momento in cui sopravvenne il folle progetto di tentare il trasferimento delle opere d’arte Italiane (l’Italia già all’epoca doveva all’arte la maggior parte delle sue ricchezze e della sua fama), al fine di consolidare e abbellire il regno della libertà. Su questi principi Bonaparte concordava pienamente con il Direttorio. In Piemonte, con la fattiva complicità di Antoine-Christophe Salicetti (uomo politico francese, inviato dal Direttorio presso l’esercito d’Italia quale commissario), si impadronì di 400.000 lire trovate nel Tesoro pubblico, e nelle zone ottenute con l’armistizio di Cherasco impose un contributo di 5 milioni. Ma le risorse offerte dalla Lombardia furono decisamente più rilevanti. Vennero requisiti viveri, cavalli, oggetti di prima necessità, gioielli. E dopo la Lombardia, anche altri Stati italiani furono costretti a comprare la propria neutralità.
Quanti ai soldati, come impedir loro di darsi al saccheggio? Proprio i generali davano l’esempio, e lo stesso Bonaparte carpì all’Italia quasi tre milioni, senza contare i regali inviati alla sua famiglia. Per la prima volta gli ufficiali poterono mandare a casa denaro e oggetti d’arte. Un saccheggio in piena regola.