Il pensiero militare dopo la Grande Guerra

Gran Bretagna: cambiamento e innovazione nel pensiero militare alla fine della Grande Guerra.

Nonostante la netta sconfitta subita nel 1918 e le severe restrizioni imposte alle sue forze armate e ai suoi armamenti dal trattato di Versailles, l’inevitabile ripresa della Germania e la sua determinazione nel riscattare le umiliazioni subite, costituirono il punto focale dei pensatori militari francesi per tutto il periodo intercorso fra le due guerre. La Grande Guerra costò alla Francia perdite militari ingenti (1.300.000 uomini circa), come anche l’occupazione di dieci dei suoi dipartimenti economicamente più ricchi.

La Francia era uscita nominalmente vincitrice dalla guerra, anche se in realtà era solo sopravvissuta. Di conseguenza, politica e dottrine militari si svilupparono logicamente in senso difensivo, un atto di fede nella trinità composta da una frontiera orientale fortificata, alleanze con Paesi stranieri e coscrizione universale. Molto, tuttavia, dipendeva dallo sviluppo e dall’organizzazione della motorizzazione e della meccanizzazione di quei mezzi, i quali nel 1917-18 si erano rivelati ai generali come possibili strumenti decisivi di vittoria in guerra.

La Gran Bretagna degli anni Venti, al contrario, non avvertiva la concreta presenza di alcun nemico, almeno nell’immediato futuro, così da smobilitare le sue grandi armate con una rapidità impressionante. Nel novembre 1918, più di tre milioni e mezzo di uomini erano in uniforme; due anni più tardi erano stati ridotti a 370mila. Il bilancio annuale per la difesa e gli effettivi militari venne costantemente ridotto, almeno fino al 1932. La maggior parte delle industrie di armamenti venne chiusa o riconvertita alla produzione civile. Il rapporto dell’unico Comitato del War Office, che consigliava di mantenere almeno l’organizzazione necessaria per formare un esercito di quarantuno divisioni nel caso di una futura emergenza nazionale, rimase lettera morta.

Anche se furono mantenute forze di occupazione in varie parti d’Europa fino al 1930, l’esercito britannico fu pienamente destinato al suo ruolo tradizionale di polizia dell’Impero. Tale priorità fu giustificata dalla stipulazione del “Ten Year Rule”, una direttiva del governo indirizzata originariamente ai ministeri militari nel 1919 per il nuovo anno finanziario, più tardi mantenuto fino al 1932. Tale era il testo della direttiva: “Bisogna supporre, per inquadrare il riesame del bilancio preventivo dello Stato, che l’Impero britannico non sarà coinvolto in nessuna grande guerra nei prossimi dieci anni e che nessuna Forza di Spedizione sarà richiesta per questo scopo”.

Una corrente di pensiero che rifletteva in pieno le realtà strategiche e finanziarie del 1920, ma che si rivelò molto meno pertinente alla fine di quel decennio.

Date queste restrizioni e la crescente disillusione pubblica per le conseguenze della Prima guerra mondiale, fu piuttosto sorprendente che negli anni Venti la Gran Bretagna abbia prodotto alcuni eminenti pensatori militari, e che abbia così la strada a prove concrete con forze meccanizzate e sperimentali. Difatti, i principali pensatori militari inglesi avevano sperimentato sulla propria pelle l’incompetenza e gli sprechi delle operazioni durante la Grande Guerra, la maggior parte come ufficiali subalterni.

Convinti intimamente che ci sarebbe stata presto un’altra grande guerra, e riponendo a ragione poca fiducia nei trattati internazionali o nella Società delle Nazioni, erano ossessionati dal dover imparare le corrette lezioni impartite dal conflitto appena terminato, sottoponendo ad esame accurato la struttura dell’esercito e restituendo mobilità alle operazioni.

Sembra che riflessioni sulla tattica e sulla strategia fiorirono in Gran Bretagna negli anni Venti per due ragioni principali: c’era una forte spinta pubblica, dietro la preoccupazione dei pubblicisti di analizzare e trarre profitto dalla dolorosa esperienza bellica del 1914-18; inoltre, l’assenza di un nemico concreto nell’immediato futuro garantiva quell’atmosfera relativamente tranquilla nella quale le teorie potevano essere sviluppate in modo quasi scientifico. Il fermento delle idee e la grande libertà di sperimentazione, in particolare sul tema della meccanizzazione, furono invidiati dai Francesi, che consideravano J.F.C. Fuller (generale e stratega britannico) e Liddell Hart come grandi pionieri.

Nel complesso ambiente del pensiero militare tra le due guerra, dunque, i maggiori sostenitori dei carri armati percorsero i tempi quasi con spavalderia e sicurezza di sé impressionanti. Fuller, con numerose pubblicazioni tanto controverse quanto eterodosse, continuò ad essere per tutti gli anni Venti il principale portavoce dei sostenitori radicali della meccanizzazione.

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