Il nesso tra le due rivoluzioni

Quale fu il collegamento tra le due Rivoluzioni che videro come protagonista l’Inghilterra? Cerchiamo di capirlo in questo articolo.

La nostra indagine sarà logicamente centrata sull’Inghilterra, in quanto primo Paese teatro delle due rivoluzioni e modello, per molti versi, dei cambiamenti strutturali dell’economia occidentale.

L’immagine che del Seicento sembrano suggerirci le testimonianze dell’epoca è quella di un mondo in piena decadenza: miseria diffusa, vagabondi e briganti che si aggirano per le campagne o si affollano nelle città vivendo di furti ed elemosine, declino inesorabile delle splendide corti del Cinquecento, eserciti che devastano intere regioni, pestilenze. Un secolo di forte inflazione, di crollo dei salari, di diffusa disoccupazione, di paralisi prolungata della crescita demografica; un’epoca di ristagno della produzione agricola. Il fatto che proprio in quest’epoca alcune grandi potenze europee sviluppino una rete imponente di commerci internazionali, e che le risorse naturali del continente americano vengano messe a loro disposizione attraverso il dominio coloniale, contrasta solo apparentemente con questo quadro: il commercio internazionale, gestito da una ristretta cerchia di Paesi (Inghilterra, Paesi Bassi, Francia) è ancora prevalentemente commercio di beni di lusso e, d’altra parte, lo sviluppo ipertrofico di questo settore tende a sottrarre risorse e capitali all’industria agricola, ancora caratterizzata in quasi tutta l’Europa da tecniche antiquate. La struttura agricola tipo (il latifondo, grande estensione di terreno fertile sottoutilizzato) è spezzettata in piccoli poderi concessi ad affittuari, soggetti a tasse e canoni d’affitto importanti, e quindi poco motivati ad aumentare la produzione e comunque privi dei mezzi necessari.

L’Inghilterra, insieme ai Paesi Bassi e alla pianura padana, rappresenta tuttavia un’eccezione al quadro appena delineato. Qui assistiamo, a partire dal Cinquecento, a un massiccio trasferimento della proprietà agricola dall’aristocrazia e dal clero alla borghesia cittadina; si verifica anche la nascita di aziende agricole efficienti, nelle quali si investono capitali e si impiega manodopera salariata. Questo processo di trasformazione della proprietà e dell’attività agricola vede, accanto al borghese cittadino arricchitosi con la manifattura o il commercio, anche un nuovo protagonista: il medio proprietario campagnolo (un ex affittuario campagnolo o piccolo proprietario che grazie alle circostanze e alla propria intraprendenza è riuscito a ingrandire il proprio fondo, diventando egli stesso datore di lavoro, giungendo così a ricavare il suo reddito principale dal lavoro salariato anziché da quello proprio e della sua famiglia, cominciando a calcolare i guadagni in rapporto al capitale investito anziché agli sforzi da compiere).

Con il XVIII secolo l’agricoltura europea, e specialmente quella britannica, entrò in una fase di rapida crescita. L’aumentata produttività delle aziende si può spiegare con l’intervento di diversi cambiamenti, per effetto dello spirito e della cultura imprenditoriali della borghesia agraria che si era formata nei Paesi all’avanguardia. Uno di questi cambiamenti consistette nell’estensione della superficie coltivata, dovuta in primo luogo alle recinzioni delle terre comuni. La superficie coltivabile fu ampliata inoltre mediante l’esproprio o l’acquisto dei latifondi ecclesiastici e nobiliari, l’accorpamento di terreni prima suddivisi in piccoli poderi, la soppressione degli usi civici e infine grazie a consistenti opere di bonifica. Vennero poi introdotte nuove colture (patata e mais), che fornivano rese superiori rispetto al grano e soprattutto non assorbivano dal suolo le stesse sostanze nutritive, rendendo perciò più efficace la rotazione tra le varie colture. Si ebbero inoltre l’applicazione generalizzata e il perfezionamento di tecniche già note, come l’irrigazione dei campi e la stessa rotazione delle colture; grazie a questa, con l’aumento della produzione di foraggio, in Inghilterra si diffuse la pratica dell’allevamento in stalla: in tal modo il bestiame non contendeva più lo spazio alle colture, mentre insieme a quella di carne e latticini aumentava la produzione di concime animale, che accresceva la produttività del suolo. Altro elemento di notevole importanza fu l’inserimento definitivo delle campagne nel circuito dell’economia monetaria, che accelerò la disgregazione di tutte le forme alternative di circolazione dei beni sopravvissute all’epoca feudale.

Esiste un nesso causale fra rivoluzione agricola e rivoluzione industriale? Questa è l’ipotesi condivisa da molti storici. Tale nesso presenta due aspetti distinti:
– la rivoluzione agricola rende materialmente possibile la rivoluzione industriale: l’aumento della produttività del settore agricolo permette di spostare parte della forza-lavoro nazionale nell’industria, e di sfamarla; la campagna inoltre rifornisce l’industria nascente di materie prime: dalla lana al gelso per i bachi da seta, dalla canapa e dalla iuta fino al cotone, la fibra tessile che sarà protagonista della rivoluzione produttiva dell’Ottocento, prodotto a buon mercato dal lavoro degli schiavi e degli indigeni asserviti nelle colonie dell’Impero britannico e nella nascente potenza economica statunitense;
– la rivoluzione agricola determina le premesse strutturali della rivoluzione industriale, vale a dire la formazione da un lato di una classe imprenditoriale che si è dotata, grazie ai profitti dell’attività agricola, di capitali da investire, e dall’altro dell’esercito proletario, attraverso l’espropriazione e la concentrazione della proprietà terriera.

Elemento portante fu la nascita del cosiddetto processo dell’accumulazione originaria dei capitali: la borghesia imprenditoriale si appropria delle ricchezze immobilizzate sotto forma di terre nelle mani delle classi dominanti tradizionali, le trasforma in capitali mobili (ossia in denaro) e le impiega nell’estrazione mineraria, nella creazione del sistema di fabbrica e della rete dei trasporti, nello sviluppo delle banche, in una parola nell’avvio della rivoluzione industriale. Ciò che avvenne non fu soltanto il trasferimento di forza-lavoro dal settore agricolo a quello industriale: fu soprattutto il passaggio di larga parte della popolazione dalla condizione di produttori indipendenti a quella di salariati, la loro trasformazione in ciò che da allora in poi si sarebbe definito proletariato.

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