Il cittadino-soldato

Quando e perché nacque la figura del cittadino-soldato?

La Rivoluzione francese, affrontata nel dettaglio attraverso diversi articoli precedenti, provocò una profonda trasformazione della struttura degli eserciti e del modo di combattere. Le nuove concezioni militari sviluppatesi nel corso di essa trovarono poi la loro applicazione più coerente negli eserciti di Napoleone Bonaparte. Dal punto di vista tecnico le armi di cui si servirono sia le armate rivoluzionarie sia quelle napoleoniche non erano diverse da quelle degli eserciti settecenteschi. Mutarono, invece, il rapporto tra società ed esercito e la natura stessa della guerra.

Il regime rivoluzionario francese fu costretto ad effettuare una mobilitazione molto ampia dei cittadini, contando sia sul loro entusiasmo, sia sul loro numero, per erigere una barriera difensiva adeguata. Così, accanto ai reparti di professionisti a lunga ferma del vecchio esercito regio, si trovarono schierati nuovi reparti addestrati in fretta, ma dotati comunque di una disponibilità a combattere che non aveva eguali negli altri eserciti del tempo; nasceva così la figura del cittadino-soldato. Il regime rivoluzionario iniziò a riformare l’esercito sin dal 1790. Bisognava creare un esercito nuovo, in quanto ciò che rimaneva dell’esercito regio non era affidabile. Un problema simile si era posto in altre due situazioni di grande mutamento sociale e politico: durante la Rivoluzione inglese del 1640-47 e durante la guerra di indipendenza americana. In ambedue i casi i conflitti si erano svolti all’insegna di grandi ideali, e anche i civili furono chiamati alle armi. Come automatica conseguenza si era avuta anche una trasformazione della tattica, potendo fare affidamento su un elemento nuovo di cui erano privi gli eserciti di professionisti o degli arruolati a forza: l’identificazione del soldato (cittadino) con la causa per cui si stava combattendo. La partecipazione ideale e morale alla causa diverrà progressivamente un elemento imprescindibile.

I rivoluzionari francesi cercarono di fare del servizio militare una funzione degna del cittadino. Si fece a meno dei reparti di mercenari; si cercò di instillare nei cittadini l’orgoglio di servire in armi per la patria; si curò l’educazione politica dei soldati; furono abolite le punizioni crudeli e umilianti e le promozioni cominciarono ad esser conferite secondo criteri meritocratici. Venne inoltre abolito il reclutamento forzato e il legame tra la provincia di arruolamento e il reggimento. D’ora in poi l’esercito doveva identificarsi con l’intera nazione. Queste riforme culminarono nel progetto di un esercito basato sostanzialmente sui volontari. In effetti gli appelli del 1791 e del 1792 furono accolti con grande entusiasmo. A questi cittadini-soldati furono concessi privilegi impensabili per i vecchi soldati, come ad esempio la possibilità di poter tornare alle loro occupazioni civili una volta terminato il conflitto. Ciò fece sorgere delle tensioni con i reparti a lunga ferma che furono superate, almeno in parte, solo con la legge del cosiddetto “amalgama” (21 febbraio 1793), che fondeva i reparti di volontari con quelli regolari. Furono eliminate tutte le differenze tra i due tipi di soldato, nella speranza che quelli regolari si politicizzassero e i volontari acquisissero maggiore professionalità. Fu introdotto anche il principio dell’elezione dei sottufficiali e degli ufficiali subalterni. Il nuovo esercito, la chiave dei numerosi successi della Francia, costruito in fretta per scopi difensivi, si rivelò anche un ottimo strumento di attacco.

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