I grandi centri industriali

Una serie di trasformazioni profonde dal punto di vista tecnologico e produttivo cambiò, dunque, nel giro di alcuni decenni, la vita non solo in Gran Bretagna, che si impose come il fulcro di queste innovazioni, ma in molte aree dell’Occidente. L’Inghilterra, da paese agricolo, divenne paese eminentemente industriale a tutti gli effetti. Crebbe la popolazione inurbata, mutò di conseguenza la fisionomia dei centri abitati. Anche prima dell’avvento della rivoluzione industriale esistevano grandi città, ma erano molto poche e si trattava più che altro di centri burocratici e per lo più parassitari. Ora questi centri diventano poli di produzione e di scambio. Sorgono nuove città, altre decadono, chiuse nel loro vecchio bozzolo agrario e tagliate fuori dalla vie di comunicazione tracciate sulla base delle nuove esigenze. Poveri borghi medievali si trasformano rapidamente, in ragione della presenza del ferro e del carbone, in grossi agglomerati urbani. Intorno ad alcune cittadine, quali Manchester, Birmingham, Sheffield, Leeds, Newcastle sorgono estese aree industrializzate.

La concentrazione delle fabbriche, il profilo delle ciminiere, i quartieri operai con i loro caseggiati tipici, il grandioso impianto dei centri direzionali, commerciali, residenziali rompono la tradizione urbanistica e trasformano le linee consuete del paesaggio. Nelle squallide periferie si raccolgono gli operai con le loro rispettive famiglie, ammassate in miserabili complessi edilizi; si forma dunque un agglomerato di individui mal pagati, costretti a lavorare dalle 12 alle 14 ore al giorno, e perciò esposti a tutti i mali e le situazioni scomode che si accompagnano allo sfruttamento e alla miseria. Al prezzo di molte sofferenze umane lo sradicamento dalle campagne innescò importanti trasformazioni nella struttura sociale dei gruppi, nella cultura e nella psicologia degli strati umili della popolazione.

“Nel 1815 l’unica città con più di un milione di abitanti era Londra che aveva già vissuto la prima rivoluzione industriale; seguivano tre città con circa 500.000 abitanti: Parigi, Napoli e Istanbul.
Con l’industrializzazione l’aspetto della città cambia notevolmente: vengono abbattute le mura per far spazio alla nuova borghesia industriale ma soprattutto alle fabbriche e a tutte quelle persone che si trasferiscono dalla campagna alla città come lavoratori nelle fabbriche; poi con l’invenzione della locomozione a vapore la ferrovia diventa un’infrastruttura fondamentale.
Gli elementi che favorivano l’industrializzazione erano la presenza di rotte commerciali, di materie prime e di legislazioni favorevoli. Per questo motivo non erano sempre le grandi città di un tempo che poi si trasformavano in città industriali, ma a volte si valorizzavano dei paesi rurali che anche se non grandi favorivano lo sviluppo. In Inghilterra gli esempi sono Manchester, Birmingham e Leeds, che sono passati da piccole cittadine a grandi agglomerati urbani”. (fonte: Wiki)

Le città industriali cominciano ad articolarsi in maniera sempre più netta in centro e periferia, con differenze estreme tra le due componenti. Il centro si componeva del complesso storico della città e di case borghesi, create con l’arrivo dell’imprenditore capitalista (quartieri residenziali, uffici e negozi). La periferia, assai più ampia del centro, si componeva principalmente di fabbriche e di case popolari. Se nei quartieri residenziali comincia a nascere un’architettura, l’urbanistica, che cerca di dare una pianta precisa alla città e un aspetto esteticamente bello, nella periferia le case sorgono tutte ammassate, di solito case a schiera, piccole e troppo vicino alle fabbriche: il principio di costruzione non era la funzionalità, ma piuttosto l’economia degli spazi e del denaro, e non ci si occupava di dare dei servizi obbligatori come le fognature e l’acqua corrente.

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