Grande Guerra: la Beffa di Buccari

Febbraio 1918, Prima guerra mondiale: la Beffa di Buccari.

Gabriele D’Annunzio, Luigi Rizzo e Costanzo Ciano, nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918, compirono un’audace incursione militare contro il naviglio Austro-Ungarico nella baia di Buccari (in croato Bakar), col supporto di una flottiglia della Regia Marina su MAS (Motoscafo Armato Silurante, mezzo d’assalto veloce delle Regia Marina).

L’Esercito Italiano aveva da poco subito, precisamente nel novembre del 1917, la disfatta di Caporetto, la quale aveva avuto un impatto pesantissimo sul morale delle truppe. La situazione stava prendendo una piega alquanto negativa; l’Italia necessitava, oltre che di vittorie, anche di un qualche nuovo stimolo da cui poter ripartire per superare anche psicologicamente Caporetto.

L’occasione giusta sembrò capitare proprio con la cosiddetta Beffa di Buccari. Non fu né una vittoria né una sconfitta, a ben guardare, ma diverse fonti storiografiche e cronache del tempo ne parlarono come di “una tra le imprese più audaci” di quella guerra, con una “influenza morale incalcolabile”, nonostante fu “sterile di risultati materiali”. Nonostante le limitate conseguenze effettive e concrete, dunque, tale azione ebbe l’effetto fondamentale di riuscire a risollevare il morale dell’Italia.

Le unità designate all’operazione furono il MAS 94 (sottotenente di vascello CREM Andrea Ferrarini), il MAS 95 (tenente di vascello compl. Odoardo Profeta De Santis), e il MAS 96 (capitano di corvetta Luigi Rizzo), con a bordo il comandante di missione capitano di fregata Costanzo Ciano e Gabriele D’Annunzio.

Gli ordini previdero la costituzione di tre gruppi navali di cacciatorpediniere ed esploratori a traino e sostegno dei tre MAS:

1º gruppo (capitano di fregata Pietro Lodolo), composto dall’esploratore Aquila e dai cacciatorpediniere Acerbi, Sirtori, Stocco, Ardente e Ardito; le unità dovevano ancorarsi a Porto Levante e tenersi pronte ad intervenire su ordine del comando in capo di Venezia;

2º gruppo (capitano di fregata Arturo Ciano), composto dai caccia Animoso, Audace e Abba, i quali dovevano rimorchiare i MAS fino a 20 miglia a ponente dell’isola di Sansego (punto “O”); qui avrebbe ceduto a rimorchio i MAS alle torpediniere e si sarebbe riposizionato a una distanza di 50 miglia da Ancona per fornire assistenza ai MAS nella fase di rientro;

3º gruppo (capitano di corvetta Matteo Spano), composto dalle torpediniere 18 P.N., 13 P.N. e 12 P.N.; questo avrebbe rimorchiato i MAS fino alla congiungente Punta Kabile di Cherso – Punta Sant’Andrea (punto “A”).

Tutto iniziò con l’incursione nel porto di Bakar (Buccari, in italiano), nell’attuale Croazia, vicino a Rijeka (Fiume). Nella Baia di Buccari sostavano alcune navi della Marina Austro-Ungarica: l’obiettivo della Marina Italiana era quello di distruggerle. I tre motoscafi partirono dal porto di Ancona, inizialmente rimorchiati da tre torpediniere. Quattordici ore dopo essere partiti, intorno alle dieci di sera del 10 febbraio, le torpediniere si fermarono e andarono avanti solo i motoscafi, al cui comando c’era il capitano di fregata Costanzo Ciano. Insieme a lui, tra gli altri, il tenente di vascello Luigi Rizzo e l’ufficiale di cavalleria Gabriele D’Annunzio.

Quella notte, i tre motoscafi entrarono nella base marina austro-ungarica e provarono a portare a termine il loro compito lanciando dei missili subacquei. Tuttavia, lì ci fu l’intoppo. Come riportato dal sito della Marina Militare Italiana: “I siluri lanciati dalle tre motosiluranti si impigliarono nelle reti a protezione dei piroscafi alla fonda”. I motoscafi italiani uscirono quindi dalla base, e dopo aver raggiunto le torpediniere, tornarono in Italia. L’operazione si concluse senza perdite per gli Italiani, e praticamente senza danni tangibili per gli Austro-Ungarici.

Dal punto di vista tattico-operativo, comunque, l’azione fece emergere la totale mancanza di coordinamento nel sistema di vigilanza costiero austriaco e le numerose lacune difensive presenti, che resero possibile questa audace azione dei marinai italiani. L’impresa costrinse il nemico a un maggiore impiego di energie per ricercare nuovi adattamenti difensivi e di vigilanza, e comunque ebbe una pesante influenza negativa sul morale austriaco.

Prima di andarsene dalla base nemica, D’Annunzio lasciò in acqua alcune bottiglie con attorno dei nastri tricolori e un messaggio al loro interno:

“In onta alla cautissima Flotta Austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia”.

L’incursione mostrò dunque una cosa importante, ovvero le facili smagliature e il mancato coordinamento del sistema di vigilanza costiero austriaco, una debolezza che poteva essere sfruttata ancora. Inoltre, come ha spiegato alla Stampa l’ammiraglio Valter Girardelli, Capo di stato maggiore della Marina militare italiana, “c’è un nodo fondamentale su cui gli storici si trovano d’accordo: gli Imperi Centrali arrivano alla sconfitta per via del collasso economico degli stessi. E alla base di questa débâcle economica c’è il dominio dei mari da parte dei Paesi dell’Intesa, Italia compresa”.

I tre i militari coinvolti nell’operazione fecero strada.

Nei mesi successivi alla Beffa di Buccari, alcune operazioni militari guidate da Rizzo portarono all’affondamento di due corazzate austriache. Ciano divenne presidente della Camera e poi ministro delle Comunicazioni. Suo figlio Galeazzo sposò Edda, figlia di Benito Mussolini, e divenne uno dei più importanti esponenti del fascismo. D’Annunzio fu il protagonista indiscusso del Volo su Vienna del 9 agosto 1918, una trasvolata compiuta da 11 Ansaldo S.V.A. dell’87ª Squadriglia Aeroplani, da lui ideata, con la quale vennero lanciati nel cielo di Vienna migliaia di manifestini tricolori contenenti una provocatoria esortazione alla resa e a porre fine alle belligeranze.

La Prima guerra mondiale era comunque entrata nella sua fase finale: nel 1918 ci fu la battaglia di Vittorio Veneto, l’ultimo scontro armato tra l’Italia e l’Impero Austro-Ungarico.

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