Gli anni della reazione/repressione in Italia

Gli anni successivi a quelli in cui fallirono i moti rivoluzionari del ’20 e del ’21 sono tradizionalmente considerati come il periodo della repressione più severa in tutta l’età del Risorgimento entro gli Stati italiani, eccetto forse lo Stato della Chiesa e il regno delle Due Sicilie, dove l’oppressione governativa verificatasi rende superfluo qualsiasi giudizio qualitativo in tal senso. Il rigore della repressione risultò forse ancor più grave a causa della sua coincidenza con una importante crisi economica. La rapida caduta dei prezzi fra il 1818 e il 1826 in un’Italia prevalentemente agricola, rese più pesante per i proprietari terrieri l’imposta fondiaria fissata in epoca napoleonica, e mantenuta in vigore dai governi restaurati; aumentò così notevolmente la mendicità, l’alta mortalità fra i contadini, malattie da malnutrizione, infanzia abbandonata.

Il contraccolpo della crisi fu forse avvertito meno nel Lombardo-Veneto, dove le necessità finanziarie austriache comportarono la nascita di una politica di incoraggiamento delle industrie. Tuttavia, sia nel Lombardo-Veneto, sia negli altri Stati italiani i governi si limitarono a stabilire soltanto tariffe doganali altamente protezionistiche, volte a limitare le importazioni. L’incapacità di fronteggiare gli effetti della crisi portò i governi ad aggravare pesantemente le tasse indirette sui beni di consumo soprattutto negli Stati meridionali, proprio dove l’agitazione popolare e le cospirazioni settarie furono più intense, nonostante la repressione. Negli altri paesi l’opposizione cominciò a rafforzarsi soltanto verso gli anni trenta, quando la solidità del fronte conservatore europeo cominciava a incrinarsi.

La reazione fu dura in tutta la penisola a eccezione forse della Toscana, dove l’attività settaria era limitata. La reazione che colpì maggiormente l’attenzione internazionale fu forse quella attuata dagli austriaci in Lombardia, che dette l’avvio alla serie di misure repressive poi imitate anche dagli altri governi italiani. Fra il 1821 e il 1824 la rete delle cospirazioni venne letteralmente lacerata. Nello Stato pontificio, il nuovo papa Leone XII ordinò una massiccia operazione di polizia in Romagna, con più di cinquecento persone di tutte le classi sociali che furono incriminate, anche se le congiure carbonare non cessarono e si estesero per la prima volta anche a Roma.

Col perdurare delle persecuzioni di polizia si accentuarono gli aspetti più negativi dei governi restaurati. Assolutismo fu sinonimo di accentramento di tutti i poteri nelle mani del solo sovrano, che fu pervaso da un sentimento di sospetto costante perpetrato nei confronti di tutti i suoi collaboratori. In Piemonte innumerevoli furono le epurazioni che ebbero luogo in seno all’amministrazione. Nel regno delle Due Sicilie, l’unione amministrativa fra le due parti venne mantenuta, nonostante lo stesso Metternich vi si opponesse, e i sospetti di Ferdinando verso i collaboratori lo condussero a opporsi alla richiesta di Metternich di creare due corpi con funzioni consultive; anzi, giunse persino a dividere l’autorità fra il segretario di Stato e i consiglieri di Stato per evitare che si verificasse un nuovo “dispotismo ministeriale” simile a quello esercitato da Medici nei primi anni della Restaurazione. La pressione clericale si diffuse ovunque. Sotto Leone XII gli Ebrei degli Stati pontifici furono ricacciati nel ghetto, e la censura ecclesiastica come il monopolio dell’istruzione in mano ai Gesuiti divennero caratteristiche comuni a tutti gli Stati italiani.

In questo ambiente autoritario, clericale e repressivo i patrioti italiani persero il loro primitivo ottimismo e volsero le loro speranze all’Europa. L’opposizione ai governi italiani rinacque fuori d’Italia, dove partecipò a quel più consapevole movimento d’opposizione internazionale che si identificava con la causa del progresso europeo.

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