Dresda, WWII: la città fantasma

Dresda 13-14 Febbraio 1945, Seconda guerra mondiale: il bombardamento di Dresda.

Eseguito dalla Royal Air Force britannica e dalla United States Army Air Force statunitense, questa operazione militare, che consistette in un bombardamento a tappeto, fu uno degli eventi più tragici di tutto il conflitto mondiale.

Negli anni Venti e Trenta ci furono notevoli progressi compiuti dalla tecnologia aeronautica militare. Vennero creati aerei corazzati in grado di volare a migliaia di metri di altezza e trasportare tonnellate di bombe. Cominciò ad essere convinzione comune il fatto che gli aerei si sarebbero potuti rivelare determinanti nel decidere le sorti delle guerre, potendo trasportare grandi quantità di esplosivo e gas tossici sulle città nemiche, ben oltre la linea del fronte. Nacque di conseguenza la strategia del “bombardamento strategico”, teorizzata, tra gli altri, dall’ufficiale italiano Giulio Douhet, autore di un libro del 1921 che ebbe una vasta influenza: “Il dominio dell’aria”.

Prima della Seconda guerra mondiale Dresda, capitale della Sassonia, rappresentava la settima città della Germania per numero di abitanti ed era un importante centro economico, militare e di trasporto. Fino all’autunno del 1944, la zona non era ancora stata colpita. Dresda era rimasta al di fuori del raggio di azione dei bombardieri degli Alleati, specialmente per la sua posizione geografica. Un solo bombardamento, nell’ottobre dell’anno precedente, aveva causato poco più di 400 morti, una cifra quasi irrisoria rispetto alla tragiche stime belliche.

Il Regno Unito aveva cominciato a bombardare le città tedesche dal 1940, ma fino al 1943 si era trattato di attacchi limitati. Dal 1940 al 1942 erano state sganciate sulla Germania circa 80mila tonnellate di bombe: nel solo 1943 sarebbero diventate quasi 200mila. Nel 1944 avrebbero raggiunto il numero di 900mila. Nei bollettini di guerra si parlava sempre di bombardamenti condotti specificatamente sulle fabbriche, della distruzione di obiettivi militari e infrastrutture di comunicazione. Era chiaro però che l’obiettivo dei bombardamenti alleati, e in particolare di quelli britannici, che quasi sempre colpivano di notte, era anche quello di creare il maggior numero di sfollati possibile.

I principi cardine alla base della teoria del bombardamento strategico prevedevano una distruzione completa, e non certo la presa di mira di obiettivi precisi. Era preferibile attaccare dopo giorni di tempo caldo e secco, in modo che le costruzioni di legno risultassero più facilmente infiammabili. Bisognava sganciare prima bombe ad alto potenziale esplosivo che sfondassero i tetti delle case e rompessero le finestre, e solo in un secondo momento passare a quelle incendiare, in modo che le case bruciassero più facilmente. Infine, si poteva passare alle bombe a frammentazione a scoppio ritardato, in modo da consentire agli incendi di espandersi. In tal senso, la notte tra il 13 e il 14 febbraio del 1945 gli alleati ottennero in uno dei loro attacchi più riusciti: la distruzione di Dresda.

Pochi giorni prima del bombardamento, l’11 febbraio del 1945, si era conclusa a Yalta una delle più importanti conferenze della Seconda guerra mondiale: Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Josif Stalin (i capi politici delle tre potenze alleate: Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica) si erano incontrati in Crimea, sul Mar Nero, prendendo nel giro di una settimana alcune importanti decisioni sul futuro della Germania, della Polonia, sulla creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e anche sul proseguimento del conflitto.

Nel febbraio del 1945, gran parte dell’Europa Orientale era stata liberata dalle truppe sovietiche, le quali erano già entrate in Polonia ed erano vicine ai confini della Germania. I paesi occidentali decisero di sostenere l’impegno bellico sovietico con lo strumento del bombardamento strategico, creando confusione ed evacuazioni di massa. La decisione fu rafforzata dall’esplicita richiesta sovietica di condurre attacchi aerei sulle linee di comunicazione. Lungo le linee ferroviarie che attraversavano Dresda passavano ogni giorno rinforzi, munizioni e materiali diretti verso il Fronte Orientale. Così la città divenne obiettivo dichiarato.

Il primo attacco aereo, condotto dai bombardieri della Royal Air Force, avvenne intorno alle 22 del 13 febbraio. Il giorno dopo cominciarono quelli condotti dagli Stati Uniti. I numerosi incendi che continuavano a formarsi crearono un unico, gigantesco fuoco, il quale consumò tutto l’ossigeno e cominciò a risucchiare l’aria verso il centro. Il vento raggiunse la velocità di un uragano, la temperatura dell’aria salì di centinaia di gradi. Parliamo della cosiddetta “Firestorm”, la tempesta di fuoco, che i generali inglesi avevano già creato ad Amburgo nel luglio del 1943 e che gli americani ripeterono a Tokyo nel marzo del 1945.

Gran parte del centro storico di Dresda fu distrutto: più di 20mila case e 22 ospedali, quasi 200 industrie, e altre costruzioni, tra cui il comando principale della Wehrmacht. Un’area di 15 chilometri quadrati fu rasa al suolo. Gli incendi si spensero spontaneamente dopo cinque giorni. L’esatto numero delle vittime è impossibile da definire. Secondo alcune fonti storiografiche morirono tra le 22mila e le 25mila persone, altre ritengono verosimili cifre che vanno dai 25mila ai 35mila. Konrad Adenauer, cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, dichiarò negli anni Cinquanta che i morti dovuti al bombardamento alleato erano stati addirittura 250 mila.

Nel libro “Mattatoio n° 5” lo scrittore statunitense Kurt Vonnegut, che durante il bombardamento si trovava a Dresda come prigioniero di guerra, e che sopravvisse perché detenuto in un mattatoio, riporta la cifra di 135mila morti. Il numero esatto è comunque impossibile da definire, ed è da tempo oggetto di discussione.

Sebbene la potenza di fuoco non fosse stata di molto superiore a quella usata in altri bombardamenti in Europa, una serie di fattori ne aumentarono l’efficacia: le condizioni meteorologiche favorevoli, la presenza di numerosi edifici in legno e i tunnel sotterranei che collegavano molte cantine (e attraverso cui le fiamme si diffusero). Inoltre, Dresda si rivelò assolutamente impreparata all’attacco: a causa del tracollo delle forze armate tedesche e del fatto che agli inizi della guerra la città fosse fuori dal raggio di azione dei bombardieri alleati, disponeva di una difesa contraerea assolutamente non adeguata per fronteggiare un attacco simile.

La ricostruzione della città fu lenta e parziale. La “ricreazione” della “Frauenkirche” (chiesa simbolo di Dresda) è stata decisa solo dopo l’unificazione e conclusa nell’ottobre del 2005, oltre sessanta anni dopo la sua distruzione. Buona parte del centro è comunque andato perduto, e i grandi spazi lasciati dalle demolizioni postbelliche sono stati occupati con nuovi edifici.

Sempre Kurt Vonnegut scrisse: “Io ci tornai veramente a Dresda, con i soldi della Fondazione Guggenheim (Dio la benedica), nel 1967. Somigliava molto a Dayton, nell’Ohio, ma c’erano più aree deserte che a Dayton. Nel terreno dovevano esserci tonnellate di ossa umane”.

Il bombardamento di Dresda è stato oggetto di un lunghissimo dibattito da parte di storici e politici. Sia Günter Grass (romanziere tedesco, Premio Nobel per la Letteratura) che Simon Jenkins (un tempo direttore di “The Times”) hanno esposto la propria convinzione che il bombardamento debba essere considerato un crimine di guerra. Lo storico Max Hastings critica questa posizione, sostenendo che questo porrebbe il bombardamento sullo stesso piano dei crimini nazisti. Dal suo punto di vista il bombardamento fu “un tentativo fatto in buona fede, seppure sbagliato, di portare la Germania alla sconfitta militare”.

La destra tedesca usa il bombardamento di Dresda come simbolo per rafforzare le proprie posizioni, definendolo un “olocausto di bombe” e sostenendo che questo episodio dimostri totalmente l’equivalenza morale degli Alleati e dell’Asse.

La storiografia contemporanea, dunque, non sembra mostrare posizioni univoche sul considerare il bombardamento che colpì la capitale della Sassonia un vero e proprio crimine di guerra, bensì evidenzia la presenza di posizioni tra loro assolutamente divergenti, e la speranza che si arrivi ad una formulazione omogenea di pensiero sembra alquanto vana.

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