David Ricardo e la scuola classica

Proseguendo incessantemente nella nostra disamina incentrata sugli sviluppi teorici di cui si rese protagonista l’economia nell’epoca dei Lumi, andremo adesso ad analizzare il pensiero promosso da David Ricardo (1772-1823), economista britannico e uno dei massimi esponenti della scuola classica (gli economisti classici sono cronologicamente la terza scuola di pensiero economico, dopo il mercantilismo e i fisiocratici, e sono considerati la prima scuola moderna, che fonda la scienza economica come la conosciamo oggi).

Ricardo viene ancora oggi ricordato come un vero e proprio teorico; comincia ad applicarsi allo studio dell’economia politica intorno al 1799, e nel 1810 pubblica “L’alto prezzo dell’oro”. Intorno al 1815 si schiera apertamente nella controversia relativa alle “Leggi del Grano”, e i suoi saggi del periodo gli valsero la sua opera principale (“Principi di economia politica e dell’imposta”), pubblicata nel 1817, che sostituì nel giro di poco tempo “La ricchezza delle nazioni” di Smith come testo di riferimento sulle questioni economiche. Per Ricardo la ricerca economica doveva perseguire l’esattezza delle relazioni tra le componenti economiche. Critica Smith e la sua teoria del valore, mentre fa suo l’impianto del testo principale dello stesso Smith. Per Ricardo, il lavoro incorporato è valevole anche in una società progredita, non solo in una rozza.

Andremo in seguito ad effettuare un paragone che si è soliti utilizzare in relazione a determinate questioni economiche teoriche tra Smith, Ricardo e Maltus; per adesso, cercheremo di concentrarci esclusivamente sui cardini del pensiero dell’economista britannico.

Ricardo era fermamente convinto che una trattazione teorica costituisse un requisito necessario per poter poi analizzare concretamente determinate questioni di politica economica proprie del mondo reale. L’economia del suo tempo vedeva una crescita del prezzo del grano, anche le rendite mostravano una tendenza alla crescita, e l’industria si rendeva protagonista di una risalita a spese dell’agricoltura. Inoltre, vi era uno scontro aperto tra proprietari terrieri (i quali rivendicavano la protezione del governo nei confronti dei prodotti esteri) e imprenditori (che invocavano una sempre maggiore libertà commerciale).

Il metodo ricardiano può esser definito come una sorta di teorizzazione astratta, che va ad eliminare per ipotesi talmente tante variabili da rendere la conclusione finale praticamente incontrovertibile. Un approccio non contestualizzato alla dottrina tipica della politica economica, ma basato su modelli teorici. L’obiettivo principale di Ricardo era quello di determinare le leggi che governano la distribuzione del reddito tra proprietari terrieri, capitalisti e lavoratori. Egli analizza la distribuzione funzionale del reddito, cioè le quote relative del prodotto annuale che vanno al lavoro, al capitale, alla terra.

La società è così composta:
– capitalisti: ricevono profitti e interessi. Assolvono alle funzioni fondamentali dell’attività economica, in quanto contribuiscono ad allocare le risorse efficientemente, spostando i loro capitali dove questi possano rendere maggiormente, e, mediante il loro risparmio e i loro investimenti, si collocano all’origine della crescita economica.
– proprietari terrieri: ricevono rendite. Vengono descritti sostanzialmente come dei parassiti, in quanto ricevono la rendita semplicemente grazie al possedimento di uno dei fattori della produzione senza svolgere alcuna funzione socialmente utile. Sperperano e non accumulano.
– lavoratori: ricevono salari. Hanno essenzialmente ruolo passivo. Il salario reale è dato dalla divisione tra il Fondo-Salari e la Forza Lavoro. La dimensione del Fondo-Salari è data dall’accumulazione del capitale; se aumenta in seguito all’accumulazione, allora nel breve periodo cresceranno anche i salari reali; tuttavia, questo porterà ad un incremento della popolazione e della forza lavoro fino al raggiungimento dell’equilibrio di lungo periodo, dove i salari reali sono tornati al loro livello di sussitenza.

Il prodotto totale (o reddito lordo)- la parte che non viene impiegata per pagare il salario di sussistenza e per rimpiazzare i beni capitali esauriti nel processo produttivo è reddito netto o sovrappiù. Il reddito netto consiste dunque nella somma dei profitti – rendite – quota salari al di sopra del livello di sussistenza. I profitti sono l’unica fonte possibile di risparmio, e quindi di accumulazione di capitale. Ricardo, attraverso la sua teoria della rendita, giunse alla conclusione che se i profitti fossero calati e le rendite aumentate, nel corso del tempo sarebbe avvenuta una redistribuzione del reddito in favore dei proprietari terrieri, arrivando così ad una riduzione del saggio di crescita del sistema economico.

Attraverso il suo ben noto “Modello Grano” (difficilmente riassumibile in tale contesto), Ricardo dimostra che la rendita è determinata dal valore di scambio (dal prezzo), e non entra nella componente del valore di scambio. Attraverso questa analisi inaugura la sua battaglia economica per abbattere la Corn Law (dazi protezionistici), in modo da non dover più mettere a coltura terre non fertili per soddisfare il fabbisogno richiedente.

Vediamo di riassumere i concetti principali della teoria di Ricardo sul valore:
– al contrario di Smith, sosteneva che il valore d’uso costituisse un requisito necessario all’esistenza del valore di scambio
– l’elaborazione della teoria del valore presuppone beni riproducibili senza problemi e l’esistenza di condizioni di concorrenza perfetta sui mercati
– la preoccupazione principale era la spiegazione delle forze che fanno variare nel tempo i prezzi relativi
– i prezzi di mercato (o di breve periodo) possono cambiare per effetto di fattori sia della domanda che dell’offerta, mentre la variazione dei prezzi naturali (o di lungo periodo) sono provocate dalle variazioni delle quantità di lavoro impiegate nella produzione delle merci
– la variazione dei prezzi relativi deve essere attribuita alla quantità di lavoro occorsa nella produzione dei beni

E ancora, mentre Smith, nell’ambito del commercio internazionale, enfatizza largamente il libero scambio basato sui costi assoluti (produrre quel bene nel paese in cui i costi sono minori), in quanto portatore di ricchezza, per Ricardo è sufficiente che vi sia una disparità dei costi relativi di un prodotto tra due paesi (convenienza dello scambio di due beni tra nazioni specializzate nella produzione di un bene specifico).

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