Dai campi aperti alle enclosures

Continuiamo ad approfondire determinati aspetti che resero la rivoluzione industriale uno tra gli eventi più importanti della storia evolutiva dell’umanità. Uno di questi è indubbiamente il cambiamento radicale che avvenne all’interno delle metodologie produttive in ambito agricolo, con il passaggio dai campi aperti alle enclosures.

La politica delle recinzioni (enclosures) e l’ascesa della grande industria sono fenomeni strettamente connessi. Ancora nella prima metà del ‘700, la terra coltivabile era, per metà, frazionata in Inghilterra in un altissimo numero di appezzamenti piccoli e non recintati, organizzati secondo l’antico sistema degli “open fields” o campi aperti, lavorati come un tutti indivisibile. Nel corso del secolo le campagne inglesi, progressivamente, mutarono volto: i campi aperti furono recintati da siepi continue, le terre comunali furono anch’esse divise, divenendo delle proprietà chiuse. Decisi ad imboccare la strada già battuta in anticipo dai ceti finanziari e commercianti, i più grossi proprietari terrieri intrapresero tale processo di privatizzazione nell’intento di valorizzare le loro terre sia introducendo nuovi metodi di coltivazione sia mediante la conversione di vaste aree in terreni da pascolo per gli ovini. Per raggiungere tale scopo non v’era altro mezzo che sopprimere il sistema dei campi aperti, abolire i pascoli comuni, privatizzare in via definitiva la terra.

Per superare la resistenza strenua dei piccoli proprietari ostili a tali innovazioni si chiesero al Parlamento i decreti necessari alla legittimazione delle recinzioni, conosciuti come “enclosures acts”. Incapaci di prendere analoghe iniziative, difettando della necessaria lungimiranza, timorosi della concorrenza delle grosse imprese agricole condotte con sistemi del tutto innovativi, i piccoli proprietari finirono per vendere ai più fortunati e ai più ricchi le loro terre. La comunità contadina tradizionale si disgregò inevitabilmente, e al suo posto si costituirono grandi fattorie, affidate per lo più ad affittuari imprenditori, che accrebbero a dismisura la produzione mediante l’applicazione maniacale dei nuovi metodi. Non tutti i vecchi proprietari, rimasti privi dei loro campi, trovarono lavoro come braccianti nelle aziende agrarie di stampo capitalistico: i più furono costretti ad abbandonare le campagne e a ritirarsi nelle città industriali, ove molti trovarono impiego nelle nascenti fabbriche, scadendo però dalla condizione di liberi a quella di operai salariati.

Questo quadro è stato delineato perfettamente da Paul Mantoux, storico dell’economia, nella celebre opera “La rivoluzione industriale”, che vide la luce a Parigi nel 1906.

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