Croce analizza la diversità dei moti di Napoli e Piemonte

L’analisi di Benedetto Croce (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – Napoli, 20 novembre 1952; filosofo, storico, politico, critico letterario e scrittore italiano, principale ideologo del liberalismo novecentesco italiano).

A Napoli, concluso il Decennio francese, erano rimasti da affrontare diversi problemi interni; a Milano, invece, c’erano ancora gli stranieri (gli Austriaci), e il problema più sentito era quello della ricerca dell’indipendenza.

Croce addita le cause del fallimento del moto napoletano, a prescindere dalla lotta che si dové condurre contro il separatismo siciliano e dai contrasti tra murattiani e carbonari, alla totale mancanza del nuovo spirito che agitava in Italia e in Europa le giovani generazioni: lo spirito romantico. A suo modo di vedere, vecchia era la mentalità dei costituzionali napoletani, come anche vecchio il loro razionalismo di stampo settecentesco. Mancava l’entusiasmo, mancava la fede. I costituzionali napoletani del 1820 non erano lungimiranti, non guardavano oltre i confini delle Due Sicilie, non considerarono l’Austria con nemica di tutto il territorio italiano, né appunto decisero di fare causa comune con gli altri italiani. Quello napoletano e quello piemontese furono in effetti due moti ben diversi e distaccati tra loro, che non ricercarono intesa alcuna, nessun coordinamento di sforzi. Il moto liberale scoppiò in Piemonte non in concomitanza col moto napoletano, ma quasi un anno dopo, quando il regime costituzionale di Napoli aveva orma i giorni contati.

Questo un estratto del testo di Benedetto Croce del 1944 “Storia del Regno di Napoli”:

“Coloro che guidarono e maneggiarono il moto napoletano erano uomini maturi che avevano cospirato tra il 1792 e il 1799, partecipato alla Repubblica del ’99, guerreggiato e amministrato nel Decennio, e ora procuravano di mantenere quanto s’era acquistato, non solo dal proprio paese ma dalle proprie persone. E – diversamente dall’alta Italia dove già vi era avviato il movimento romantico – vecchia era la loro forma mentale, il razionalismo settecentesco, ridotto ad arte di governo e politica, a calcolo unitario, diffidente d’ideali, d’ideologie e di poesia. Nessun concetto, di quelli vivi e attuosi in noi, si formò allora, neanche il concetto della libertà costituzionale, che divenne veramente nostro quando fu non semplice cautela di garanzia, ma segno e mezzo di più alta coscienza morale d’indipendenza e di grandezza nazionale. La lotta contro il dominio austriaco e la supremazia straniera in Italia cominciò, com’era naturale, non a Napoli, ma dove quel dominio pesava e dove c’era una potenza italiana, che mirava a sostituirglisi, nella Lombardia e nel Piemonte. I costituzionali napoletani del 1820 non guardavano oltre i confini delle Due Sicilie, non sentirono l’Austria come nemica dell’Italia tutta, né fecero causa comune con gli altri italiani.

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