I congressi scientifici e la questione nazionale

Anche i congressi scientifici pongono la questione nazionale…

Nell’ottobre del 1839 si tenne un importante congresso degli scienziati a Pisa, per concessione di Leopoldo II. Negli anni immediatamente successivi, vennero convocati altri otto congressi scientifici in diverse città d’Italia, tanto nel Nord quanto nel Centro e nel Sud. I dibattiti di queste riunioni ebbero larga eco nella stampa, ma la diffidenza dei sovrani convinse alla cautela i partecipanti che evitarono pertanto di affrontare i problemi esplicitamente politici. I temi scelti e l’impianto stesso delle discussioni collocarono comunque i congressi in una dimensione nazionale: furono avviate diverse grandi inchieste di spessore politico, si nominarono apposite commissioni per analizzare scientemente i problemi economici di tutta la penisola.

Questi congressi si tennero in un clima di acceso dibattito intorno ai problemi della produzione agricola, della liberalizzazione dei commerci, della lega doganale, della costruzione delle ferrovie e delle infrastrutture. Tuttavia, qualunque fosse l’argomento affrontato, il nocciolo della questione era prevalentemente politico. Solo entro un quadro di questo tipo poteva affrontarsi lucidamente il discorso complessivo sulle riforme, un discorso che presupponeva l’azione comune dei governi della penisola.

Qui di seguito riportiamo una parte significativa del discorso pronunciato al congresso del 1841 dal fiorentino Cosimo Ridolfi, professore di agraria in fama di liberale:

“Ma dai congressi scientifici un altro bene aspetta l’Italia, certo né il più piccolo né il meno desiderato. La divisione della penisola in piccoli Stati; l’antica divisione politica infinitamente più minuta privò il bel paese d’un centro scientifico, quale per modo d’esempio sono ne’ propri imperi Londra e Parigi. Ma il genio italiano comunque sparso e diviso brillò da per tutto, e fece spesso gli umili borghi segno d’invidia alle città popolose. Un tale stato di cose ebbe i suoi beni e i suoi mali. L’istruzione fu più generale; la civiltà le tenne dietro dovunque; la crassa ignoranza, la rozzezza brutale non trovarono ricovero in nessun luogo. Ma i colossali istituti di scientifico insegnamento mancarono; ma le gare municipali si cacciarono in ogni cosa, e mentre che ciascuno amava la patria, non vi fu patria comune. Come le terre, divisi gli animi; e nella differenza delle opinioni, aspri modi, parole acerbe, vicendevole disprezzo.
Ma quante gare, quante rivalità non si sopirono e non si spegneranno nei congressi; e come pura già non sorse la stima, come stabile non si fermò l’amicizia al conoscersi delle persone! Quante false apparenze, quanti equivoci dolorosi, quanti ingiusti sospetti, che da lontano illudevano, si dileguarono ad un’occhiata, ad un tocco di mano, a un detto sincero!
Sì; benediciamo ai congressi che, raccogliendo i sapienti ora in una terra ed ora in un’altra, fanno le scienze veramente cosmopolite; e adducendo dovunque il loro alito vivificante, eccitano negli scienziati un amor di famiglia, li fanno intrinseci, ne addoppiano le forze; e del sapere con nuovo rito il culto solennizzando, conculcano a tutta possa il fanatismo cieco, l’oziosa superbia e l’ignoranza arrogante.
Ciò pel primo ben sentiva quel grande, che qui dove surse l’Accademia Platonica a restaurare la guasta filosofia; qui dove il Cimento provando e riprovando additava la sola strada che nelle fisiche guida al discoprimento del vero; qui dove le scienze economiche, delle naturali son pur sorelle dilette, dettavano dal trono sapientissime leggi, le quali fecero la nostra agiatezza e fanno l’ammirazione d’Europa, fondava i congressi, segnando un’era eterna ne’ fasti del proprio regno e in quelli delle storie italiane”.

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