Il colpo di Stato del 18 brumaio

Le disfatte militari rivelarono la debolezza del Direttorio e ne decretarono la fine (formalmente con il colpo di Stato del 18 brumaio).
Un gruppo di politici – tra loro annoveriamo l’abate E. Sieyès – ritenne di poter ricorrere ad un colpo di Stato per evitare che si creasse un vuoto di potere che avrebbe potuto aprire il varco a situazioni indecifrabili e pericolose per la Francia stessa. I cospiratori ben sapevano che l’opinione media francese sentiva fortemente l’attrazione delle posizioni moderate, di centro, e credeva che solo l’esercito avrebbe potuto salvare il paese dalla minaccia di un ritorno dei Giacobini o dei monarchici.

Bonaparte, il solo generale non ancora sconfitto, simboleggiava l’esercito come entità, la sua forza e la sua garanzia di mediazione. Ispirato da questi pensieri, giunse a Napoleone in Egitto un appello segreto: “il potere gli venne quasi buttato tra le braccia ed egli seppe afferrarlo” (Hobsbawm). Il generale, abbandonando nei suoi accantonamenti un esercito ormai destinato alla resa, seppe eludere la vigilanza della flotta inglese e ricomparve nell’ottobre del 1799 a Parigi. Poco dopo l’esercito occupò i punti strategici della città e il Direttorio fu licenziato brutalmente: da quel giorno in poi iniziò l’era del dominio personale di Bonaparte (18 brumaio anno VIII). Questi seppe rivolgere ai Francesi le parole che essi da tempo aspettavano: promise ordine, giustizia, moderazione, stabilità interna, politica imperialista fuori dai confini.

Una nuova Costituzione repubblicana, detta dell’anno VIII, assegnò il potere esecutivo ad un Consolato (il primo dei tre consoli fu proprio Bonaparte, che prese perciò il titolo di Primo console; gli altri due furono Sieyès e Roger Ducos), mentre il potere legislativo fu assicurato alla ricca borghesia attraverso un macchinoso sistema di organi rappresentativi (Tribunato, Corpo legislativo, Senato conservatore), i cui membri non furono eletti dai cittadini, bensì scelti dai consoli stessi dalle liste dei notabili. Analogamente i magistrati cessarono di essere eletti dal popolo e furono designati dal Primo console, che si riservò la nomina dei sindaci e dei prefetti rispettivamente nei comuni e nei dipartimenti.

Almeno una delle lezioni essenziali fornite dalla Rivoluzione era, in tal modo, abbandonata e tradita. Il potere politico e amministrativo non scaturiva più dal basso, dalla volontà sovrana del popolo, ma discendeva dall’alto, dalla volontà imperscrutabile dell’esecutivo. Al popolo erano riservati l’obbedienza, il servizio, il consenso, espresso – quest’ultimo – nella forma demagogica e incontrollabile del plebiscito. Si poneva, inoltre, fine alle autonomie locali e si tornava al sistema autoritario e accentrato dell’Ancien Régime, col sindaco e il prefetto nominati dall’alto e responsabili di fronte al potere centrale. Si rivela necessario, tuttavia, sottolineare con forza che le conquiste civili della Rivoluzione, l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, il diritto di proprietà, nonché la sostanziale egemonia della borghesia, furono mantenuti e garantiti contro ogni minaccia di restaurazione degli antichi privilegi.

Il pronto rialzo dei titoli di rendita alla Borsa di Parigi dopo il colpo di Stato provò in modo inequivocabile che la borghesia francese aveva accolto il nuovo corso con assoluta fiducia. Un plebiscito popolare, tenuto nel febbraio 1800, diede una sanzione formale all’avvenuto capovolgimento.

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