Il colera devasta Parigi (1832)

Lo storico francese Louis Chevalier, all’interno della sua opera “Classi lavoratrici e classi pericolose. Parigi nella rivoluzione industriale”, analizza in modo nuovo e originale il problema della trasgressione, considerata come sintomo di una patologia urbana e non più prodotto eccezionale della vita collettiva, ma conseguenza naturale e diretta dell’espansione della città, in uno stretto intreccio con la diseguaglianza economica nonché con la pressione demografica. Cercando di ricostruire le basi biologiche della storia sociale, Chevalier descrive l’epidemia di colera del 1832 che colpì con straordinaria ferocia le classi popolari parigine.

Nella rappresentazione di una società prostrata dal male, lo studioso individua, forse con più chiarezza che attraverso la tradizionale storia politica, la profondità degli antagonismi sociali, la miseria, le molteplici forme della rivolta proletaria.

“La malattia fa l’unità dell’epoca, o per meglio dire la riassume. Rispetto all’epoca precedente, l’alta mortalità da colera totalizza sin dai primi giorni tutta la miseria della fine della Restaurazione e dell’inizio della Monarchia di Luglio. Rispetto agli anni successivi, la sommossa di giugno, verificatasi subito dopo l’epidemia, altro non è che la continuazione politica di una medesima crisi biologica: per i suoi principali attori, per le sue più importanti localizzazioni, per la paura che diffonde nella città, per l’odio fisico che genera nei vinti e nei vincitori, per le generali violenze e per quella volontà di sterminio per cui sembra che ognuno se la prenda più con dei responsabili del male che con degli avversari politici”.

Il colera che colpì Parigi nel 1832, seguito a un lungo periodo in cui si era ingenuamente creduto che simili flagelli fossero scomparsi una volta per tutte, fu indubbiamente una catastrofe di rara eccezionalità. “Il terribile scossone del colera del 1832 rimarrà a lungo iscritto nella memoria della popolazione parigina, altrettanto a lungo che nelle piramidi egizie, scavate da ferite profondissime. Le filastrocche dei cantastorie e i romanzi popolari ne tramanderanno e ne ingigantiranno a lungo il ricordo”.

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