Clausewitz e Jomini: il confronto.

Viene naturale e logico effettuare un confronto tra Clausewitz (generale, scrittore e teorico militare prussiano, famoso ancora oggi per aver scritto un trattato di pura strategia bellica, il “Vom Kriege”, che ottenne fama mondiale) e Jomini. Su Clausewitz mi concentrerò ampiamente nei prossimi articoli, in quanto le sue idee in ambito militare meritano importante attenzione e uno spazio descrittivo adeguato alla caratura del personaggio.

La principale differenza tra Jomini e Clausewitz deriva dal fatto che Jomini era concentrato molto di più sull’arte e sulla meccanica delle tattiche da impiegare in battaglia. Era prescrittivo, nel senso che offriva un approccio stereotipato – attraverso l’uso di una terminologia geometrica, per esempio – per lo sviluppo di un metodo tattico adatto a qualsiasi conflitto. Mentre Jomini stesso ha affermato che la strategia militare è un’arte piuttosto che una scienza esatta, utilizzò tuttavia molti principi scientifici e matematici per illustrare i suoi punti. Significativo il fatto che per diverso tempo le opere di Jomini erano praticamente gli unici lavori proposti nella US Military Academy di West Point, negli Stati Uniti. Il suo approccio è sicuramente più accessibile per chi cerca un playbook da imparare e seguire.

Clausewitz, d’altra parte, era molto più focalizzato sulle dinamiche psicologiche della guerra. Era un pensatore molto più astratto di Jomini, e subordinato a tecniche e approcci tattici specifici per una comprensione basata sulla relazione delle forze che un generale ha dovuto affrontare tanto internamente quanto esternamente. In confronto a Jomini, Clausewitz è molto più opaco e cerebrale. Lui non è necessariamente più difficile da seguire, ma il lettore avrà certamente a che fare con un lavoro più intellettuale che si concentra più sugli elementi universali della psicologia umana.

In sintesi, la differenza principale tra i due è che le opere di Jomini si concentrano solo sugli aspetti operativi della gestione militare, mentre le opere di Clausewitz analizzano anche gli aspetti psicologici (astratti) della stessa.

Clausewitz e la Prussia conobbero le avversità, la sconfitta e l’umiliazione; solo dopo grandi e profonde riforme in seguito alla catastrofe militare di Jena (1806 – totale vittoria dei francesi e disgregazione dell’esercito prussiano) il sistema militare prussiano trovò i mezzi per confrontarsi con la Francia napoleonica. Durante la campagna di Jena, Clausewitz fu fatto prigioniero, all’epoca in cui era un giovane membro di un gruppo di riformatori. Era una personalità forte, contraddistinta da coerenza e stabilità; si avvicinò alla guerra percependola come una complessa totalità da dover analizzare attentamente, mentre Jomini scrisse più per impressionare le alte cariche, vedeva la guerra in termini individualistici ed eroici. Fu forse proprio questo il segreto dell’enorme successo che ottenne dai suoi lettori; la maggior parte delle sue opere edite è fatta di narrazioni di campagne centrate sulle decisioni degli alti comandi, sulla loro analisi.
I suoi volumi si adattano dunque a un’antica tradizione di storiografia militare: Cesare – Alessandro – Federico – Napoleone. La saga del re guerriero sovrumano che conduce il suo popolo alla vittoria grazie alle proprie doti individuali.

I militari in Jomini trovarono buoni argomenti da contrapporre alla stretta subordinazione all’autorità politica. Analizzando l’Austria, ad esempio, Jomini sostenne che i suoi comandanti militari furono frequentemente paralizzati dalle interferenze da parte del consiglio aulico. Un governo, a suo modo di vedere, doveva scegliere il suo più abile comandante militare per poi lasciarlo libero di condurre la guerra secondo determinati principi scientifici. Potremmo quasi affermare che Jomini sapeva che cosa i suoi lettori volevano, e lo dava loro abilmente.

Tuttavia, a ben guardare, diverse sue idee si prestavano ad una facile ironia (perpetrata da chi la guerra la viveva sul campo), soprattutto la sua insistenza sul fatto che nemmeno le più radicali trasformazioni fornite dall’evoluzione tecnologica potessero in alcun modo alterare i principi base della guerra. I suoi critici, per primo Clausewitz, lamentarono il fatto che egli cercò appunto di ridurre la guerra ad un semplice insieme di regole che, se seguite con dovizia di particolari, avrebbero certamente condotto alla vittoria.

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