Il cauto riformismo dei sovrani: il regno di Sardegna e la Toscana

Il cauto riformismo dei sovrani: il regno di Sardegna e la Toscana.

Nel regno di Sardegna la salita al trono nel 1831 di Carlo Alberto di Savoia, conosciuto anche come “eroe del Trocadero” (protagonista della conquista della fortezza del Trocadero, nella baia di Cadice, che segnò la fine della seconda esperienza costituzionale spagnola nel settembre del 1823), segnò l’inizio di una stagione riformatrice che fece coesistere nuove istituzioni dinamiche con ordinamenti piuttosto antiquati. Accettando i suggerimenti dei gruppi liberali, il sovrano nel 1831 istituì il Consiglio di Stato (forma decisamente evoluta dei Consigli regi, il Consiglio di Stato era il principale organi di consulenza del potere esecutivo). Tra il 1836 e il 1839 attraverso una serie di editti eliminò in Sardegna il sopravvissuto potere dei feudatari. Furono quindi aboliti diritti che risalivano al Medioevo, si liquidò la rendita dei barboni, comunque non senza indennizzo. L’isola fu infine affidata alla giurisdizione regia. Tra il 1837 e il 1839 in tutti gli Stati sardi furono abbassate le tariffe daziarie e si introdussero codici moderni (civile, penale, di commercio). Lo sviluppo, nei primi anni Quaranta, di un moderno sistema bancario testimoniò i reali progressi compiuti dalla borghesia e da parte dell’aristocrazia ligure e piemontese in tutti i rami dell’attività produttiva e degli scambi.

Anche in Toscana l’ascesa al trono nel 1824 del nuovo sovrano Leopoldo II di Lorena (1797-1870) coincise con l’avvio di una importante fase di riformismo. In un pur sommario bilancio del governo di Leopoldo sono da menzionare inderogabilmente il compimento del Catasto generale, che consentì un’equa distribuzione dell’imposta fondiaria, come anche le riforme giudiziarie e il riordinamento dei tribunali. Tra il 1832 e il 1836 fu avanzata la proposta di sostituire la mezzadria (un sistema di conduzione che fu definito conservatore) con il “grande affitto” e con le moderne aziende capitalistiche. Tuttavia, la tendenza innovatrice fu sconfitta e il sistema mezzadrile rimase dominante. Il governo granducale, che aveva appoggiato la conservazione del tradizionale assetto agricolo temendo che l’instaurazione di nuovi rapporti di lavoro nelle campagne avrebbe potuto accentuare la lotta di classe, si prodigò nel migliorare per quanto possibile la produzione per nell’ambito del vecchio sistema, e in questa prospettiva promosse grandiose opere di bonifica nella Val di Chiana e nella Maremma grossetana, lavori stradali e ferroviari. Un’accorta politica doganale favorì le manifatture tessili e le tradizionali industrie toscane per la lavorazione del rame e del materiale ferroso.

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