Burke, un difensore della tradizione

La prima analisi critica della Rivoluzione francese arriva da un politico, filosofo e scrittore britannico di origine irlandese, nonché uno dei principali precursori ideologici del romanticismo inglese: Edmund Burke (1729-1797).

Sotto l’impressione degli avvenimenti che sempre più turbinosi si succedevano in Francia, l’inglese, nel 1790, scrisse un’opera, Riflessioni sulla Rivoluzione francese, che ebbe una grande risonanza e che sarebbe divenuta un’autorevole fonte per i teorici della Restaurazione in Europa.

Nelle sue riflessioni, contenute all’interno dell’opera appena citata, l’autore condanna fermamente ‘la via francese alla libertà’ e, con essa, la Rivoluzione che ha distrutto, con cieca violenza, l’irripetibile trama dell’esperienza e della storia: una condanna non da poco. Ai tanto celebrati Diritti dell’uomo e del cittadino, che annientano, più che salvaguardare, la libertà, Burke contrappone l’esperienza inglese, che aveva di fatto saputo procedere per gradi, rispettando le tradizioni e garantendo la stabilità di ogni conquista raggiunta. Ai suoi occhi la Rivoluzione è invece un caos temibile in cui si vanno a mescolare leggerezza e ferocia, confusione di delitti e di follie travolti insieme. Una società fatta di individui perfettamente liberi ed uguali è per lo scrittore inglese una pura astrazione, frutto delle utopiche dottrine illuministiche, e ad essa gli oppone la società reale, i pregiudizi, le fazioni e gli interessi, la differenza tra gli individui concreti contrapposta alla pretesa di fondare la società sulla loro identità astratta.

Burke ritiene che solo ai proprietari spetti il diritto di governare e che essi soltanto ne abbiano la capacità; le nuove teorie della sovranità popolare e della democrazia altro non sono che una minaccia all’ordine sociale predisposto e voluto da Dio. Lo scrittore giudica insensata la pretesa della maggioranza, definita ‘miserabile mandria di pecore’ incapace di comprendere il suo vero interesse, di prevalere sulla minoranza. Seguendo i falsi insegnamenti del Secolo i Francesi si sono allontanati dalla dritta via. Non sono più le forze rappresentative della ricchezza e della proprietà privata che governano la Francia. E, in conseguenza di questo, la proprietà è distrutta senza aver dato luogo al sorgere di una giusta e razionale libertà.

L’autore condanna senza mezzi termini anche gli ordinamenti amministrativi introdotti in Francia dall’Assemblea nazionale costituente: il decentramento, che si contrapponeva a tutta la tradizione storica dell’assolutismo monarchico, avrebbe creato staterelli indocili, che non avrebbero tollerato la direzione di Parigi ed avrebbero finito col disconoscere quei principi di eguaglianza in forza dei quali avevano rinnegato la fedeltà al loro antico sovrano.

La tesi promosse da Burke suscitarono in Inghilterra l’appassionata replica di Thomas Paine, agitatore e pensatore politico democratico che aveva avuto un ruolo importante nella rivoluzione americana. Nei Diritti dell’uomo (1791-1792), un testo che avrebbe ispirato il movimento operaio dell’Ottocento, egli difese risolutamente la Rivoluzione francese e la democrazia politica che essa aveva fondato.

Precedente Simboli e miti della Rivoluzione Successivo La Libia e il nucleare