21/02/1916: inizia la battaglia di Verdun

Nel terzo anno di guerra si assistette a lotte terribili che non ebbero alcun effetto decisivo e non portarono sostanzialmente a nulla, se non a sofferenze umane che andarono ben oltre la convenzionale capacità di descrizione, alla sensazione tra i soldati al fronte di essere stati abbandonati e, sul fronte interno, a una stanchezza sempre maggiore nei confronti della guerra, che si tramutò o in disfattismo o in una cupa determinazione a non cedere.

Combattuta sulla Mosa, la battaglia di Verdun vide contrapposti l’esercito tedesco, guidato dal capo di Stato maggiore, generale Erich von Falkenhayn, e l’esercito francese, guidato dal comandante supremo Joseph Joffre, sostituito al termine del 1916 con il generale Robert Georges Nivelle. Si protrasse dal febbraio al dicembre del 1916; la battaglia di Verdun fu la più lunga di tutta la Prima guerra mondiale. Questa battaglia di logoramento, il cui valore simbolico superò di gran lunga la sua importanza strategica e politica, sarebbe divenuta l’espressione esemplare degli orrori provocati dalla guerra moderna. Verdun costituì il punto di svolta cruciale della guerra, in quanto segnò il momento in cui il peso principale delle operazioni nel Fronte Occidentale passò dalla Francia all’Impero britannico, fece svanire le possibilità della Germania di vincere la guerra e influenzò in parte l’entrata in guerra degli Stati Uniti d’America.

Alla fine del 1915, la Francia aveva perso metà degli ufficiali del suo esercito regolare e tanti soldati quanti ne avrebbe persi l’Inghilterra lungo tutto il conflitto. Tuttavia, Joffre restava imperturbabile; dal momento che la produzione bellica era in crescita e che il nuovo esercito britannico sarebbe presto sceso in campo, era intenzionato a riprendere gli attacchi frontali su più ampia scala. Come sede per lo scontro finale Joffre scelse la valle della Somme, fino a quel momento un settore relativamente tranquillo. A sostegno di quest’offensiva i Russi avrebbero attaccato sul Fronte Orientale, gli Austro-Ungheresi, mentre gli Italiani avrebbero fatto altrettanto a Sud.

Falkenhayn, a differenza di Joffre, era portato per carattere a una maggiore finezza analitica. Con logica spietata sosteneva che un attacco limitato a Verdun avrebbe attirato l’esercito francese nel raggio d’azione dei cannoni tedeschi, l’avrebbe ridotto allo stremo, presentando dunque un alto costo al vero nemico, l’Inghilterra, suo principale alleato. Il 20 dicembre il Kaiser approvò la proposta del suo generale e la vigilia di Natale cominciarono i preparativi per l’Operazione Gericht (giudizio), un attacco concepito come limitato che, progressivamente, si trasformò nella più lunga battaglia della storia.

Sulla carta, la scelta del terreno sembrava esser stata oculata. Verdun era una città fortificata sin dall’epoca romana, e nel 1914 generazioni di interventi di stampo ingegneristico l’avevano trasformata nella più formidabile formazione difensiva del mondo. Quando il Fronte Occidentale cominciò a prender forma, andò a disporsi tutt’attorno a Verdun, così che la fortezza venne a trovarsi in cima a un enorme saliente. Tutta una serie di anelli collinari circondava la stessa città, attraversata dalla Mosa, che tagliava l’intero settore in due parti: la riva destra, o metà orientale, e quella sinistra, o metà occidentale. Sulla riva sinistra c’erano due linee fortificate, e tre su quella destra, dove Falkenhayn aveva intenzione di attaccare. Quel che i Tedeschi ignoravano era che lo Stato maggiore francese aveva deciso di rinunciare a tali difese e fortificazioni fisse, convinti che esse non avrebbero retto agli attacchi compiuti dall’artiglieria pesante tedesca.

Alcuni dei soldati francesi sul posto cominciarono a nutrire forti sospetti di un attacco imminente, ma Joffre il suo Stato maggiore giudicarono quei rapporti troppo allarmistici, e continuarono a sguarnire Verdun. Per la prima volta i Tedeschi usarono l’aviazione per avere copertura dall’alto su un intero settore. I Francesi invece erano del tutto all’oscuro delle miglia di nuove tratte ferroviarie installate per il trasporto di munizioni e rifornimenti per i 140mila uomini della 5° armata previsti per l’attacco. In totale, la Germania dispiegò 850 cannoni, tra cui 13 degli obici che avevano distrutto Liegi, 2 cannoni navali da 15 pollici per operazioni a lunga gittata; 17 mortai austriaci da 305 millimetri, 306 cannoni da campagna; 152 lanciabombe, come anche i lanciafiamme. A tutto questo arsenale si contrapponevano soltanto 270 cannoni dei francesi.

Inizialmente, dunque, la forza dell’artiglieria pesante francese era nettamente inferiore a quella dei loro avversari d’oltre Reno. Il 24 febbraio i Francesi si ritirarono sulla seconda linea difensiva, che si sviluppava su un perimetro di oltre 10 chilometri attorno a Verdun. I Tedeschi catturarono Bois des Fosses, Bois des Chaumes e Bois des Caurières, circondarono Louvement, e forzarono l’accesso a Fort Douaumont, che cadde il giorno successivo. Tuttavia, nonostante questa brillante avanzata, lo sfondamento non era ancora avvenuto. Per il timore di essere tagliati fuori dal resto delle loro truppe e rimanere circondati, dovettero ritirarsi. Dopo gli insuccessi iniziali, i Francesi affermano la loro determinazione a difendere Verdun a tutti i costi. Il generale Pétain, sostituendo al comando il generale Castelnau, definì chiaramente il suo scopo: “La missione della Seconda Armata è di fermare a tutti i costi il nemico”.

La battaglia si trasformò col tempo in un’oscillazione perpetua tra i ruoli di attaccanti e assediati. Concepita come un’offensiva che rilanciasse la guerra di movimento, Verdun si trasformò in una battaglia di logoramento, causando perdite enormi. Alla fine di giugno, con i primi segnali dell’offensiva alleata sulla Somme, i Tedeschi intensificarono il ritmo e organizzarono nuove offensive, giungendo a 5 km da Verdun. Tra luglio e agosto, tuttavia, i rapporti di forza cambiarono. I Francesi, ora meglio organizzati, lanciarono una serie di offensive settoriali, che consentirono loro di riprendere gran parte del terreno perduto. Alla fine di ottobre ripresero il Forte di Douaumont, ai primi di novembre il Forte di Vaux, a metà dicembre Bois de Caures e l’area circostante. Alla fine del 1916, la linea si era stabilizzata praticamente sulle stesse posizioni dalle quali era iniziata l’offensiva tedesca in febbraio.

Dopo diversi mesi di violenti scontri, con una media di una tonnellata di proiettili sparati per ogni metro quadro, il paesaggio era desolato, senza vegetazione. Nonostante da un punto di vista strategico l’esito della battaglia non fu determinante, Verdun acquisì rapidamente una portata leggendaria. La battaglia divenne simbolo della volontà dei Francesi di difendere la propria patria e sopportare i sacrifici. Il carattere stesso “di logoramento” della battaglia giocò un ruolo chiave nella costruzione del mito, e il conteggio delle perdite costituì una questione della massima importanza fin dai primi giorni del confronto.

Le due parti, insieme, persero intorno ai 700mila uomini nella battaglia di Verdun, mentre nell’arco della guerra in quel settore furono perdute più di un milione e mezzo di vite. Questa spaventosa battaglia divenne una sacra leggenda nazionale in Francia, sinonimo di forza, eroismo e sofferenza, i cui effetti e ricordi perdurano ancora oggi; la battaglia coinvolse quasi i tre quarti delle armate francesi, e benché nella storia ci siano state battaglie anche più cruente, Verdun detiene probabilmente il non invidiabile primato di campo di battaglia con la maggior densità di morti per metro quadro.

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